Il totale fallimento ideologico del governo sionista e di Hamas

Il totale fallimento ideologico del governo sionista e di Hamas

Alcune riflessioni in merito alla tragedia palestinese, ed alla guerra genocida di Gaza.

di Adriano V. Autino

Ringrazio Alberto Cavallo per avere commentato e suggerito miglioramenti.

Non si può tacere

Recentemente mi sono incautamente lasciato coinvolgere da alcuni commenti lasciati su un mio post a proposito del genocidio di Gaza. La discussione si è così sviluppata sulla politica del criminale Netanyahu, contro il quale la Corte Penale Internazionale dell’Aia ha emesso un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra. Ne consegue un implicito giudizio – sia pure ancora non supportato da una sentenza – sul suo governo ormai abusivo, che sta in piedi solo finché dura questa guerra assurda ed insensata.

Un attimo, assurda ed insensata, per chi? Per chi si riferisce ad uno schema di valori umanista, senz’altro. Forse meno, per chi si riferisce a – o forse approfitta del riferimento popolare a – schemi di valori estremisti, derivanti da certe interpretazioni dell’antico credo ebraico, o certe frange islamiste che danno un’interpretazione feroce del Corano. Comunque, non sono un teologo, e di solito non vado a frugare nella letteratura religiosa se non per scovare qualche concetto umanista, per me interessante, ed utile per provare a discutere, anche con le testacce più dure. Peraltro, si può rimanere sorpresi vedendo i canali social di ebrei ultraortodossi, dove si vede che sono fortemente antisionisti e la loro interpretazione della Bibbia è pacifista e benevola.

Dunque non cercate il pelo nell’uovo nei ragionamenti che seguono, ma piuttosto la logica, una logica umanista, appunto. Per coloro che leggono “umanismo” e capiscono “buonismo”, non perdete il vostro tempo qui. Certo che l’umanismo è buonista, e persegue il bene, per la nostra specie e per la comunità umana, almeno da Platone in qua.

Dunque, come mi si può definire, prima di leggere i miei ragli? Come un vecchio softwarista curioso, che si aggira nei meandri della filosofia e delle varie ideologie con l’ingenuo intento di acquisire strumenti per “debuggare” la nostra società (intendo la società umana, compresi tutti gli estremisti e le teste più dure). Debuggare, per chi non fosse mai stato del mestiere, significa scovare gli errori (i “bug”) e provare ad eliminarli, una volta resi evidenti e comprensibili alla maggioranza degli individui. Consapevole della grande delicatezza del tema, ho comunque chiesto aiuto ad Alberto Cavallo, mio buon amico e membro sin dalla fondazione, del Board di Space Renaissance International. Con Alberto ho una discussione pressoché continua sulle politiche spaziali e la prospettiva di espansione della civiltà nello spazio, che può davvero porre fine alle guerre per le risorse sul nostro pianeta, accedendo a risorse virtualmente infinite nel sistema solare. Ma non tratteremo questo argomento qui oggi.

Lo sterminio di 60.000 persone, di cui un terzo bambini, è un genocidio, e non si può accettare

A proposito del genocidio in corso a Gaza, occorre mettere qualche puntino sulle i. La Corte Penale Internazionale dell’Aja, come già accennato, ha spiccato un mandato internazionale di cattura nei confronti di Netanyahu nel 2024, per crimini di guerra, specificamente quelli commessi dopo l’orrendo ed altrettanto criminale attentato perpetrato da Hamas il 7 Ottobre 2023. Il provvedimento non menziona esplicitamente il genocidio. Il carattere genocida dell’azione israeliana è, infatti, emerso nella pubblica coscienza solo negli ultimi mesi, in particolare a seguito della deliberata carestia imposta alla popolazione palestinese, carestia che sta causando la morte per malnutrizione di migliaia di persone, soprattutto bambini. Tuttavia l’ONU ormai non nasconde il giudizio, e denuncia esplicitamente Israele come colpevole di genocidio. Ecco alcune testimonianze in proposito:

I sostenitori del governo criminale di Israele in genere tendono a deviare la discussione su qualsiasi aspetto per evitare di discutere della realtà: più di 60.000 persone assassinate, per almeno un terzo bambini. Che lo si chiami genocidio oppure no, si tratta di un crimine orrendo, paragonabile allo sterminio perpetrato dal regime nazista nei confronti proprio degli Ebrei, ma anche di altre categorie, quali zingari, omosessuali, ed altri tipi non conformi agli stereotipi della razza ariana. Oppure alle purghe ed ai gulag staliniani, responsabili dell’eliminazione di molti milioni di persone, secondo qualche stima addirittura in misura maggiore rispetto ai morti nei forni crematori nazisti (6 milioni).

Basterebbe questo per opporsi con tutte le forze, e fare di tutto affinché il conflitto cessi, ed i colpevoli, in questo caso Netanyahu e la sua cricca, ed i dirigenti di Hamas, siano tutti puniti secondo le leggi del diritto internazionale. Tuttavia, il marchio di genocidio è importante, per la legge, e per non perdere mai di vista di cosa stiamo parlando, anche per coloro che leggeranno di questi anni nei libri di storia.

Antisemitismo, antisionismo, ed il movimento di protesta internazionale

Ci sono diversi punti di vista da cui guardare a questa storia orribile, almeno i seguenti: sociale, politico, ideologico, religioso, filosofico, etico.

Da softwarista curioso, con intento di debugging, non pretendo certo di sviluppare qui, in queste brevi note, un’analisi articolata secondo i suddetti punti di vista (cosa che andrebbe fatta indubbiamente, avendo più tempo). Esporrò quindi le mie considerazioni riferendomi sia pure confusamente a criteri appartenenti un po’ a tutte le categorie menzionate, sperando di essere d’aiuto nel dipanare i diversi bandoli della matassa.

Cominciamo col dire che criticare il governo di Israele non significa essere antisemiti. Personalmente ho sempre avuto enorme rispetto e ammirazione per il popolo Israeliano e la sua grande cultura tecnico-scientifica, che ha raggiunto risultati incredibili in tanti settori vitali per la sopravvivenza e la qualità della vita in zone climaticamente difficili come il Medio Oriente. Ma proprio per questo ancora più grande è la mia cocente delusione, nel vedere che questo popolo meraviglioso (benedetto da Dio, con questo grande dono nel settore cruciale dell’intelligenza umana?), non riesce a districarsi dal terribile pantano in cui si è cacciato, e si risolve allo sterminio, invece di cercare alternative possibili. Per essere precisi, i termini “Semita”, “Israeliano” ed “Ebreo” non sono affatto sinonimi. Come sostiene Piergiorgio Odifreddi, il termine “semita” include molti popoli, tra cui soprattutto quello arabo. Ne consegue, tra l’altro, che tutti i palestinesi sono semiti. Israeliani sono i cittadini di Israele (non necessariamente tutti Ebrei). Ebrei sono invece gli individui appartenenti a tale ceppo etnico, sparsi, come altre etnie, in tutto il mondo.

Centinaia di migliaia di Ebrei si stanno vergognando di questo stato di cose, e stanno protestando, sia in Israele che all’estero. Il criminale Netanyahu finirà in galera, appena finita questa guerra assurda. Ed è proprio per questo che lui non vuole che finisca, e si oppone con tutte le sue forze al prevalere di opzioni più umane e ragionevoli. Come ci insegna tutta la strabordante letteratura e cinematografia noir e crime, ci sono sempre delle ragioni per le quali il criminale di turno ritiene di “non avere alternative”, di essere in qualche contorto modo costretto dagli altri – i suoi avversari o le sue vittime – a compiere atti sempre più efferati per perseguire i propri obiettivi. Tale subcultura ama intrufolarsi nella psiche malata degli psicopatici, e persino renderceli simpatici, come protagonisti delle storie. Ovviamente ogni essere umano è degno di compassione, anche quando colpevole di crimini orrendi, ferma restando però la necessità della punizione. Ma il tema della subcultura noir è un discorso che rischia di deviare dallo scopo di questa riflessione, anche se non si può negarne la malefica influenza in termini di involuzione culturale, che vorrebbe portarci gradualmente ad accettare l’omicidio e l’ulteriore abbassamento del valore della vita, non certo ai massimi storici, di questi tempi.

Tutta questa politica, in cui si sta sempre più infognando il criminale Netanyahu, rappresenta oggi un lampante fallimento dell’ideologia Sionista.

Leggiamo su Wikipedia (pericolosa enciclopedia in mano ad Hamas, ci diranno i sostenitori di Netanyahu!):

“Il sionismo è un’ideologia politica il cui fine è l’affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico e il supporto a uno Stato ebraico in quella regione che, dal Tanakh e dalla Bibbia, è definita “Terra di Israele”. Tale obiettivo è stato perseguito negli anni attraverso la colonizzazione della Palestina storica, tentando, almeno a partire dagli anni Trenta del Novecento, di ottenerne un territorio il più esteso possibile e di ridurre al minimo la presenza di arabi palestinesi su quest’ultimo.”

Il sionismo è contrario alla religione Ebraica

Per fugare eventuali dubbi terminologici, il Tanakh è l’intera raccolta delle sacre scritture ebraiche, mentre la Torah è la prima parte del Tanakh, composta dai cinque libri di Mosè.

Dunque, una prima domanda fondamentale, cui forse vorrà rispondermi qualche Ebreo non accecato dalla propaganda del suo governo: il genocidio in corso, può essere giustificato, se non apertamente rivendicato, in nome delle Sacre Scritture, l’Antico Testamento, la Torah?  Sembra che la risposta l’abbiano già data moltissimi ebrei. Tutti gli ultraortodossi dicono addirittura che il sionismo è contrario alla religione ebraica. Moltissimi ebrei laici si stanno adoperando contro le azioni del governo di Israele, compresi attori, scienziati, registi ecc.

Sì, comunque parliamo di sacre scritture, quindi compresa la Bibbia cristiana, che origina dallo stesso ceppo, l’Antico Testamento. Il problema dunque riguarda anche noi (non Ebrei), e la domanda andrebbe quindi anche rivolta a teologi cristiani. Anche se c’è almeno una differenza fondamentale: le costituzioni e le leggi di paesi a prevalenza di cittadini cristiani non si fondano sulle antiche scritture, che sappiamo devote a dei crudeli e guerrafondai, certo non umanisti in senso universale. Non parliamo poi delle dottrine guerrafondaie praticate dalle frange islamiche estremiste, che interpretano il Corano in chiave di sterminio degli “infedeli”.

Seguaci non fanatici della fede ebraica e di quella islamica sostengono a buon diritto che sia la Torah che il Corano sono libri che contengono numerosi principi umanisti e pacifisti, e speriamo che questa interpretazione delle Scritture possa prevalere e convincere più di quella guerrafondaia ed antiumana.

Il difetto più grande della politica guerrafondaia è la mancanza di umanismo

Per chiarire, il principio fondante della filosofia umanista (almeno della mia particolare versione, ma anche, per esempio, quella di Robert M. Pirsig, autore della filosofia morale della qualità) è che ogni vita umana è preziosa e non deve mai essere sprecata, perché potrebbe essere portatrice della soluzione di qualcuno dei grandi problemi che attanagliano la civiltà. Quindi lo sterminio di migliaia di persone, ma anche solo un singolo omicidio, costituiscono un attacco alle capacità di sopravvivenza e progresso della civiltà.

Diciamo allora che il difetto più grande, il “bug” che sta alla base di qualsiasi politica di genocidio o anche solo tollerante nei confronti dell’omicidio, è una mancanza di umanismo, e conseguente bassa considerazione del valore della vita umana. Ed in questo difetto tutte le religioni hanno la loro parte di responsabilità: troppo facili ad impugnare lo spadone e partire per le crociate, per dirla in modo semplice. Troppi papi, del resto, sono stati prioritariamente dei leader politici più che autorità morali, e quindi del tutto inclini a strumentalizzare la loro stessa religione per fini politici. Poi ovviamente c’è anche chi parte per la guerra senza bisogno di pezze d’appoggio religiose, vedi Putin e Zelensky, ma questo è un altro discorso, che non so se vorrò affrontare, comunque non oggi.

Israele non ha una costituzione formale redatta in un unico documento, ma il suo ordinamento costituzionale si basa sulla Dichiarazione di Indipendenza del 1948, su un insieme di Leggi Fondamentali emanate dal Parlamento (la Knesset), su regolamenti parlamentari e su convenzioni costituzionali. La Torah costituisce la base dell’ebraismo, contenente le leggi e le storie d’Israele, una specie di costituzione non dichiarata, ma immanente sullo stato di Israele. Ad una interpretazione estremista di tale testo si rifanno in modo assoluto ed assolutista le frange più estreme, oggi colonna decisiva del Governo Israeliano, e fondamentali nell’appoggio della sua politica criminale. Lo stato di Israele, tra l’altro, è assolutamente laico, ed i suoi fondatori erano per lo più socialisti. Solo l’attuale maggioranza ha fatto mettere nelle leggi fondamentali che “Israele è lo stato degli Ebrei”, creando un problema giuridico serio: interpretato in modo stretto, ore Israele non è uno stato democratico, perché non riconosce il principio di eguaglianza.

Il fallimento ideologico di Israele, e dei suoi nemici

Ora, per venire al punto centrale, in questa discussione. Quando uno stato si riduce a massacrare cittadini inermi, perché non è capace di scovare e punire i terroristi colpevoli, testimonia la propria estrema debolezza, e certifica il proprio totale fallimento ideologico.

Solo per elencare alcuni dei principali punti di caduta ideologica, etica e storica del Governo Netanyahu:

  • Aver lasciato che la situazione degenerasse fino a questo punto, come ultimo capitolo di più di 50 anni di conflitto senza avere mai veramente cercato di porvi fine in modo accettabile e proficuo per tutte le parti.
  • Essere stato, come i suoi predecessori, del tutto incapace di sviluppare politiche di inclusione, integrazione e pacificazione sociale.
  • Avere permesso ed incoraggiato i coloni a derubare terra ed abitazioni altrui.
  • Avere sempre agito in base ad estremismo religioso di fede ebraica, in modo specularmente uguale e contrario alla fazione opposta, composta da estremisti di fede islamica.
  • Non saper trovare e punire i colpevoli, dividendo i criminali terroristi dai combattenti e resistenti, che si sono opposti con la lotta armata all’esercito oppressore (ben diversa dal terrorismo che uccide, massacra e rapisce i civili).
  • Non avere mai saputo mettere a frutto la grande superiorità culturale e scientifica di Israele, sia per migliorare le capacità di polizia anti-terrore sia per lo sviluppo di tutta la regione.

Né si può ovviamente tacere dell’altrettanto drammatico fallimento totale della leadership Palestinese, la cui missione principale era difendere il popolo palestinese ed affermare un suo stato indipendente. Questo senza nominare l’altro scopo, assurdo e totalmente velleitario, di eliminare lo stato di Israele dalla faccia della Terra. Cos’ha ottenuto Hamas con la sua vigliacca aggressione, l’assassinio di 1200 persone e la deportazione di più di 250 ragazzi, ormai quasi totalmente decimati? Fra l’altro, l’azione del 7 ottobre non fu nemmeno responsabilità di tutto Hamas, ma della sola ala militare capeggiata da Sinwar, che non informò l’ala politica fino all’ultimo, uno o due giorni prima. Molti leader di Hamas uccisi da Israele non c’entravano con quell’azione, anzi erano (giustamente) contrari. Inclusi I principali capi politici del movimento. Dunque cos’ha ottenuto l’ala militare di Hamas con la sua azione? La propria distruzione e disorganizzazione pressoché totale, la totale complicità con Israele nella rigenerazione di un odio che si protrarrà per qualche secolo a venire, lo sterminio di decine di migliaia di persone, la carestia e la morte di decine di migliaia di bambini – il proprio futuro. L’appoggio ed il finanziamento di Hamas da parte di Israele data da lungo tempo, intesa a dare fastidio all’Autorità Palestinese di Ramallah. Hamas aveva cacciato l’Autorità da Gaza con una guerra civile tra palestinesi, il tutto ben visto da Israele.

Ecco qua. Fortissimo dal punto di vista scientifico, Israele poteva offrire il paradiso a tutti, a Gaza, Israeliani e Palestinesi, e costituire un punto d’eccellenza, nella regione medio-orientale, condividendo le proprie tecnologie e cultura, e facendosi amare da tutte le popolazioni, anche Arabe. Invece ha scelto la morte, l’oppressione, il genocidio, la fomentazione delle formazioni palestinesi più estremiste, facendo naufragare ogni tentativo di democratizzazione e di dialogo. Condannando così la sua stessa popolazione a vivere nel terrore e in uno stato di guerra continua.

Quanto sopra costituisce la mia più grande delusione e sconforto. Un paese avanguardia tecnologica e scientifica del nostro mondo – e quando parliamo di cultura ed intelligenza scientifica creativa più che di etnia è giusto parlare di Israele, la nazione che ha saputo concentrare gli sforzi e le iniziative di ricerca ed imprenditoriali – è stato finora incapace di uscire dalla sindrome dell’accerchiamento, della paura e del terrore. Ha sinora appoggiato in massa le politiche criminali del suo governo.

Il movimento internazionale contro il genocidio

Sinora. Ma nelle ultime settimane abbiamo visto centinaia di migliaia di persone, se non milioni, scendere in strada, chiedendo la fine della guerra e la cessazione della pulizia etnica nei confronti del popolo palestinese. Diversi paesi occidentali riconosceranno lo stato della Palestina. Cresce una grande domanda, alle istituzioni europee e statunitensi: cessare ogni complicità con il Governo genocida, interrompere ogni aiuto ed accordo commerciale, finché la pace non sia stabilita, e si possa finalmente parlare di ricostruire Gaza, insieme ai Palestinesi, e non contro di loro.

Queste semplici parole d’ordine, ormai condivise da una larga maggioranza della popolazione mondiale, esigono maggior mobilitazione, compreso lo sciopero generale, per la pace, perché cessi immediatamente lo sterminio e la deportazione del popolo palestinese, perché gli sia consentito di riorganizzarsi, e votare finalmente una rappresentanza democratica, lontana dal folle terrorismo suicida di Hamas. Riferendoci alla storia di questo sfortunato popolo bisogna osservare che di delusioni ne ha sofferte tante, non solo ad opera di Israele, ma anche delle diverse burocrazie – per lo più corrotte – che si sono avvicendate ad esercitare uno pseudo-potere nella Palestina occupata, in un regime di fatto di apartheid. Dalla “padella” del regime corrotto di Al Fatah sono caduti nella brace di Hamas, movimento militarista che origina dai Fratelli Musulmani. C’è solo da sperare che, dalla immane sofferenza attuale, il popolo Palestinese, o almeno le sue componenti più sane, sappiano trarre orientamenti alla democrazia, libertà, e pacifismo creativo.

Circa la storia di Hamas, movimento “islamista” che ha scelto la lotta armata, Alberto consiglia il libro di Paola Caridi “Hamas”, sottotitolo “dalla resistenza al regime”, edito da Feltrinelli. Paola Caridi è la maggiore esperta di mondo arabo e Palestina che abbiamo in Italia. Per dirla in due parole, alcuni esponenti palestinesi dei Fratelli Mussulmani erano scontenti del pacifismo del movimento e fondarono Hamas per agire con la violenza. https://www.feltrinellieditore.it/opera/hamas-1/

L’iniziativa della Sumud Flottiglia, quale che sia l’aiuto materiale che riuscirà a portare ai Palestinesi, ha un immenso valore politico: è un’iniziativa internazionale ed internazionalista, nata dal basso, che sottolinea le colpevoli mancanze della UE e di tanti governi che sembrano voler dare tempo ad Israele di “finire il lavoro”, cioè sterminare il maggior numero possibile di Palestinesi e deportare i restanti.

Questa iniziativa esprime un coraggio formidabile ed un amore universale per il popolo palestinese, è portatrice di aiuti concreti e di uno spiraglio di speranza, che si possa fare altro per fermare Israele: la lotta e la mobilitazione internazionale di massa (non la lotta armata), la tanto vituperata lezione del ‘900, quando ci vuole ci vuole! Far vedere ai guerrafondai e agli anti-umanisti che sono loro in minoranza, e non noi!

Piena solidarietà e sostegno alla Sumud Flottiglia! Buon vento!

Stiamo pronti a sostenere questa azione con la mobilitazione continua, ed anche con lo sciopero generale, se necessario.

La legge della foresta

Inevitabilmente si sente molto parlare di lupi, orsi, ed altri animali selvatici, da qualche anno reintrodotti nei boschi italiani. Inevitabilmente, perché la popolazione di questi animali sta crescendo, e quindi si moltiplicano i casi di incontro con esemplari della nostra specie, che in qualche caso finiscono con qualcuno che si fa male, umani e/o animali.
Un caso a parte, se volete, è rappresentato dai cinghiali, reimmessi inizialmente a scopo venatorio (in realtà porcastri d’allevamento liberati nelle selve), e poi riprodottisi a dismisura. Da qualche tempo questa particolare evoluzione ha portato al diffondersi incontrollato della peste suina, con grave danno per gli allevamenti di suini. Ma non è di questo che volevo parlare, anche se utile alla riflessione.
Adesso so che molti amici animalisti qui si arrabbieranno, ma il mio vuole essere solo un invito a riflettere su qualche risvolto cui magari finora non avete pensato. Secondo logica, prima di essere animalista uno dovrebbe essere umanista, e quindi estendere la propria compassione a tutti i viventi, non sostituire gli umani con gli animali, nella propria considerazione. La compassione per tutti i viventi, infatti, dovrebbe includere anche noi umani, che fino a prova contraria, siamo altrettanto viventi.
Tra le molte dotte disquisizioni che proliferano sul web e sui media, leggiamo spesso lezioncine saccenti di coloro che vorrebbero istruirci sul come fare a passeggiare nei boschi, senza incorrere in pericoli e, nel caso di incontri ravvicinati con quelle che a tutti gli effetti sono bestie feroci (almeno nel caso di lupi ed orsi), come fare per non irritare gli animali, lasciare che vadano per la loro strada, ed andarcene alla chetichella per la nostra. Si intuisce persino un’esortazione ad improvvisarci novelli San Francesco, capaci di ammansire qualsiasi animale con la nostra calma olimpica, e la nostra consapevolezza che “nessun animale attacca a meno che si senta in pericolo, oppure veda i propri cuccioli in pericolo”.
Belle parole. Ma questi maestri di pensiero hanno una sia pur vaga idea di quanto vasta sia la platea di coloro che magari una volta ogni tanto ambirebbero passeggiare in un bosco? Mi riferisco alla grande varietà di tipi umani, di caratteri, di età diverse, di gradazioni di saldezza psicologica, capacità di dominare le emozioni, in particolare in questo caso la paura atavica quando ci si trova di fronte a determinati animali senza una rete di protezione in mezzo. Quindi, cosa stiamo dicendo, in realtà? Stiamo dicendo: se non sei un cavaliere senza macchia e senza paura, dotato di coraggio e saldezza psicologica, è meglio che te ne stai a casa, o ti limiti a passeggiare nei centri abitati. Se non ci sai fare con gli animali, se sei un tipo paurosetto e poco incline a sfidare il pericolo, evita di andare a passeggiare nei boschi. Di più, se sei un ragazzino, per ovvie ragioni di età tendente alla sbruffonaggine, non andare nei boschi… perché lì c’è il lupo!
Attenzione, non stiamo parlando di cacciatori, o di sconsiderati sprezzanti del pericolo. Stiamo parlando di persone tendenti ad avere una più o meno sacrosanta paura, in tanti modi diversi e vari. Ora, si sa che le bestie feroci sono sensibili alla paura. Metti che il nostro lupo (o branco, perché questi animali amano girare in branchi), abbia un po’ di fame, o voglia difendere i propri cuccioli. L’umano pauroso magari fa qualche gesto che innesca la reazione del predatore. O vogliamo parlare di un bambino, che magari con i cinghialetti vorrebbe giocare, quando la mamma cinghiala potrebbe non essere d’accordo?
Qui probabilmente molti stanno già pensando: ma se sei debole e pauroso, e fai movimenti stupidi, te lo sei meritato! Bravi. Mi viene in mente un paragone. In un giardino c’è un grosso cane da guardia, di quelli pericolosi. Sul cancello c’è un avviso “Attenzione, cane feroce” ecc… La risposta tipica? Se qualcuno entra, violando la mia proprietà, era stato avvertito, che lo faceva a suo rischio e pericolo! Bene, avrà quello che si merita. Ma se si tratta di ragazzini che volevano fare una bravata? Meritano di essere sbranati?
Tornando alle passeggiate nei boschi, che percentuale della popolazione stiamo tagliando fuori? Dovremmo mettere cartelli sul limitare, tipo: “Si sconsiglia di proseguire ad individui non psicologicamente attrezzati.”? E con questo, avremmo fatto ciò che basta, per evitare episodi cruenti? Sospetto che molti intenderebbero tali avvertimenti più come protezione degli animali che degli umani, visto il disprezzo strisciante che si sta propagando nella società incantata dalla “natura selvaggia”, verso i deboli e i timorosi.
Attenzione, tanto per fare un esempio: stiamo ingiungendo di stare lontani dai boschi anche ad individui come Stephen Hawking, che fisicamente era molto debole, e probabilmente avrebbe avuto paura delle belve feroci ma, quanto ad intelligenza, mangiava i fagioli in testa a moltissimi di noi!
E qui non possiamo evitare qualche ragionamento di tipo antropologico.
Per molti secoli ci siamo dedicati ad urbanizzare il territorio, a renderlo meno pericoloso, mettendoci il più possibile al riparo da eventi naturali e dalle bestie feroci. Tant’è vero che alcune specie, come i lupi e gli orsi, in Italia erano ormai molto ridotte, e quasi a rischio di estinzione. A questo punto si è pensato bene di reintrodurre esemplari di queste specie da territori vicini (Slovenia, Croazia, …), dove esiste ancora una popolazione in relativo sviluppo. Piano piano i nostri boschi si stanno ritrasformando in foreste, dove circolano predatori che si cibano di altri animali, compresi gli ovini dei nostri allevamenti, o distruggono le coltivazioni (cinghiali). E, laddove incontrino umani non psicologicamente preparati, possono attaccarli, ferirli, ed anche ucciderli.
Ora, quando nel passato c’erano le foreste, chi ci andava ci andava armato. Era, cioè, in grado di difendersi, evitando così di lascarci la pelle. Se l’allevatore beccava il lupo a razziare le pecore o le galline, gli sparava. In un ambiente relativamente selvaggio — la foresta, o le coltivazioni ed allevamenti vicini alle foreste – gli umani, come gli altri animali, si difendevano con i mezzi a loro disposizione.
Se la nostra società, cui è venuto a noia l’ambiente relativamente sicuro che i nostri nonni e bisnonni avevano cercato di preparare per noi, intende ora riportare l’ambiente ad un livello meno urbanizzato, e più selvaggio, bisognerà accettarne le conseguenze. Fra l’altro, come abbiamo già visto, gli animali selvatici non si fanno alcuno scrupolo ad uscire dalle foreste e cercare cibo fra le case e nei cassonetti… Non è detto che, uscendo a fare una passeggiata vicino a casa la sera, non ci si imbatta in qualche visitatore non proprio amichevole.
Siamo consapevoli che, dal punto di vista antropologico, stiamo parlando di una regressione? Si sta infatti marciando a grandi passi verso un inselvatichimento del territorio intero, e non di istituire delle riserve, dei parchi naturali, magari debitamente recintati, in cui il pericolo fosse gestito.
Cosa voglio dire? Voglio dire che, se vogliamo davvero che il nostro territorio si popoli dinuovo di bestie feroci, per quanto ci possano piacere, dovremo tornare a pensare a difenderci, dotando anche i paurosi, o soprattutto i paurosi, di strumenti di difesa, “educare” i nostri bambini a non inoltrarsi nei boschi da soli, ecc, ecc. Così come, ai contadini ed agli allevatori, si dovrà permettere di sparare ai predatori, vendendo la pelle di lupi ed orsi, e facendo prosciutti e salsicce dei cinghiali abbattuti. L’idea di risarcirli per le pecore perse, a spese dei contribuenti, a me non piace granché. Quei soldi sarebbero molto meglio impiegati per politiche di vero sviluppo industriale. E qui non comincio neppure il discorso, perché sapete già bene come la penso! Guardare in alto.
Cosa? Non ci piace quella società dove si torna ad ammazzare per non essere ammazzati? Ma quella è la natura, carissimi, la cui legge è esattamente questa: uccidere o essere uccisi.

Una piccola riflessione sul tema Reddito Di Cittadinanza e la lamentata carenza di lavoratori in alcuni settori.

È un leitmotiv delle destre e, purtroppo, spesso, anche di affrettate condivisioni da parte di esponenti dell’area cosiddetta libdem. Viene accusato, il Reddito di Cittadinanza, di fare “concorrenza” alle imprese sul terreno dell’offerta di lavoro, poiché molti preferirebbero percepire l’RDC piuttosto che lavorare per le imprese agricole, o altri in ruoli, in genere di bassa manovalanza.Se fosse, effettivamente, comprovato da una seria indagine sociale, tale risultato andrebbe piuttosto annoverato tra i rari risultati positivi dell’RDC, dal punto di vista sociale. Vedo già parecchi sopraccigli sollevarsi perplessi… Autino ha fatto una scelta classista, dalla parte dei lavoratori? Se così fosse non mi scandalizzerei, che male ci sarebbe a difendere i lavoratori, in particolare quelli precari ed a rischio di povertà? Ma, almeno in questo caso, non si tratta di una scelta classista, direi piuttosto il contrario.Riflettano, dunque, in particolare coloro che – aderendo a +Europa, Azione o Italia Viva – annoverano tra le colpe dell’RDC quella di “sottrarre braccia all’agricoltura”. Stiamo infatti parlando di attività che rasentano lo schiavismo – i.e. pagare per il lavoro il minimo necessario per la sopravvivenza, precludendo con ciò, per quei lavoratori, qualsiasi possibilità di crescita sociale. Vorrei ricordare che Muhammad Yunus — sia pure in altro contesto e condizioni sociali di estremo sottosviluppo del suo Paese, il Bangladesh, – inventò il microcredito, permettendo con ciò a migliaia di schiave del settore tessile di comprarsi un telaio, liberandosi dalla schiavitù e diventando piccole imprenditrici. Con questa geniale iniziativa il “banchiere dei poveri” diede un formidabile impulso alla crescita economica nel suo Paese, favorendo la crescita sociale – da schiavi sottoproletari a piccoli imprenditori – di una parte considerevole della popolazione. Il modello venne poi riprodotto con successo (e grande imbarazzo del Fondo Monetario Internazionale) in altre parti del mondo.

Dunque, tornando all’Italia, che beneficio ne potrebbe avere, questo Paese, dal perdurare del lavoro vergognosamente sottopagato, retribuito spesso in nero, elargito con arroganza mafiosa dai caporali o anche, da aziende formalmente in regola, ma che pretendono di poter scegliere da un esercito di disperati, a tariffe di 2 o 3 euro l’ora, perché è di questo che stiamo parlando? Mi sembra più che logico, se un lavoratore deve accontentarsi di 5 o 600 euro al mese per faticare sotto il sole 10 ore al giorno, che scelga un’alternativa, se ce l’ha. L’RDC glie l’ha data. Quel lavoratore, grazie all’RDC, potrà compiere ugualmente il suo “dovere” di consumatore, impedendo così al mercato di collassare sotto i colpi della crisi, dei lockdown ed altre sfighe che caratterizzano quest’epoca storica. Se le imprese vogliono competere, dovranno impegnarsi e crescere, assumendo le persone, pagando un minimo decente ai lavoratori, puntando sulla qualità, anziché sullo sfruttamento bestiale. Un problema sindacale? Solo in parte: quando c’è di mezzo lo schiavismo non si tratta più di migliorare le condizioni di lavoro e di salario, tema prettamente sindacale, oggetto di contrattazione. Quando c’è di mezzo lo schiavismo parliamo di diritti umani, di costituzione, di lotta alle mafie, comunque si presentino. L’RDC, se è vero che sottrae schiavi agli schiavisti, si rivelerebbe quindi valido su due fronti: l’essere un forte elemento di mitigazione del disastro sociale causato dalla pandemia, ed essere un’arma importante nella lotta contro lo schiavismo e la mafia. Come non condividere quindi l’opinione recentemente espressa da Mario Draghi, di condivisione del principio del reddito di cittadinanza? Senza contare che l’RDC esiste, in qualche forma, nella maggior parte dei Paesi europei.

Non si può ovviamente tacere dei punti di fallimento dell’RDC, soprattutto sul fronte della creazione di posti di lavoro. Qui sta una debolezza ideologica dei promotori, i 5 Stelle: l’obiettivo di creare dei “posti di lavoro”. Si dovrebbe probabilmente puntare sulla creazione di lavoro, un concetto solo apparentemente più generico, in realtà molto più ampio e potente. Creare posti di lavoro presuppone di agire principalmente, se non esclusivamente, sull’offerta di lavoro delle aziende esistenti. Creare lavoro comprende invece lo stimolo alla creazione di nuove aziende, quindi puntare alla promozione e crescita sociale. Perché nuove aziende, magari anche cooperative formate da lavoratori, non potrebbero proprio competere sul mercato agricolo? In secondo luogo, per quanto riguarda la creazione di lavoro, si deve anche osservare che l’RDC è stata una rivoluzione annunciata, e non sviluppata. Quando si annunciano rivoluzioni, poi bisogna farle. Non abbiamo infatti visto alcun “treno blindato” percorrere la penisola da Nord a Sud e viceversa, andando a scovare i tanti “navigator” che hanno trovato un solo posto di lavoro, il proprio. Cacciarli a calci in culo dalla scrivania occupata abusivamente, sostituendoli prima che potessero causare il fallimento della rivoluzione stessa. I navigator avrebbero dovuto essere formati ad una metodologia fortemente analitica, volta a comprendere le capacità, le competenze specifiche e le inclinazioni personali dei percettori di RDC da un alto. Dall’altro lato battere il territorio senza sosta, analizzando le aziende, le loro esigenze, ricavando così le opportunità di impiego. È chiaro che nel processo entrerebbero anche aziende di elevato livello tecnologico, non meno in crisi di altre imprese. È altrettanto chiaro che nel processo dovrebbero anche entrare percorsi di formazione, di qualificazione e riqualificazione delle persone ed anche delle aziende. E perché non inserire lo strumento del microcredito, nel processo di supporto alle aspirazioni e progetti di (selezionati) percettori di RDC, finalizzato alla creazione di nuova impresa?

Significherebbe un approccio fortemente umanista al tema dell’occupazione, della creazione di lavoro e di nuova impresa, mettendo al centro le persone, le aspirazioni, i progetti, gli obiettivi di crescita e di realizzazione personale e sociale. Lo so, sarebbe chiedere troppo ai “pentacosi”, come qualcuno li definisce. Tuttavia chiederei a coloro che tentano sinceramente di costruire un nuovo modello repubblicano di governance, di non soggiacere alle facili categorizzazioni ideologiche della destra, e di valutare con oggettività i meriti ed i demeriti dell’RDC e di altre ricette di governo. Si passerebbe quindi – dal primitivo approccio RDC SI/NO caro ai tanto “semplificatori” sia di destra che di sinistra – ad una proficua discussione sulla qualità di un RDC, da riformare per il meglio, senza eliminare i pochi ma significativi elementi positivi e progressisti (nel senso del progresso, sia ben chiaro). Perché da questa maturità ed equità di giudizio dipende poi la capacità di governo illuminato di cui il nostro Paese ha un disperato bisogno.

 

Hanno compiuto cent’anni, ma non li dimostrano

Lo scrittore italiano Paolo Aresi ha recentemente pubblicato una raccolta di racconti, dal titolo evocativo “Bicentenario”[1], per celebrare i cento anni dalla nascita di due giganti della letteratura di fantascienza: Isaac Asimov, nato il 2 Febbraio, e Ray Bradbury, nato il 22 Agosto 1920. Si tratta di due autori noti, non solo agli appassionati del genere, soprattutto per l’acutezza del loro sguardo sul futuro.Isaac Asimov è stato anche un ricercatore nei campi della chimica e della farmaceutica, e non ha scritto soltanto fantascienza. Nato in Russia durante la rivoluzione bolscevica, e trasferitosi all’età di tre anni con la propria famiglia a New York negli Stati Uniti, ha al suo attivo diversi saggi, nei quali analizza la storia della ricerca scientifica, l’evoluzione e il futuro della nostra specie: “La marcia dei millenni”, “Domani”, “Frontiere”, tutti editi da Interno Giallo Editore, Milano. Sua anche una “Cronologia delle scoperte scientifiche”, edito in Italia da Pan s.r.l., che elenca e commenta brevemente, in stile enciclopedico, le scoperte scientifiche da 4 milioni di anni A.C. ai giorni odierni.

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Una piccola riflessione a caldo, dopo la tornata delle elezioni regionali del 20/21 Settembre 2020

Una piccola riflessione a caldo, dopo la tornata delle elezioni regionali del 20/21 Settembre 2020

di Adriano V. Autino

Il risultato alle regionali del cosiddetto polo libdem – Italia Viva, Calenda e Più Europa – è molto deludente.

Emiliano e Giani hanno mantenuto il governatorato di Puglia e Toscana al PD, De Luca si riconferma in Campania con percentuale altissima. Il PD riprende quota ovunque, ristabilendo la propria leadership dell’area di centro-sinistra (se così la vogliamo chiamare).

I 5 Stelle continuano la fase decrescente, il che non deve stupire, essendo il partito che più incarna la filosofia decrescista di Serge Latouche.

Da libdem, o forse dovrei dire meglio demo-libertario (che non è esattamente la stessa cosa), prevale in me oggi la contentezza per la conferma del declino di Salvini, ed anche per la capacità del PD di contrastare questa destra assurda ed improponibile che ha preso piede in Italia. Chiaramente Zaia, che ha stravinto in Veneto, non è la Lega e non è Salvini.

L’errore, in area libdem, sta nel pensare che il liberalismo possa guadagnare consenso per il solo fatto di esserci. Se le posizioni sono indistinguibili da quelle dei decrescisti — limitate al green deal — non si vede perché la gente dovrebbe votare i libdem. Se non c’è il coraggio di indicare chiaramente le linee di sviluppo industriale d’avanguardia, non ci sarà partita. Renzi, Calenda, Della Vedova, in cosa si sono distinti finora, dal PD? Agitando le loro bandierine prive di reale contenuto non sono neanche riusciti a far mancare i voti necessari al PD, favorendo la destra, cosa che molti temevano (me compreso).

Non parlo di opporsi frontalmente all’ambientalismo. Tuttavia limitarsi all’ambientalismo risulta in una forma soft di decrescismo. La “rivoluzione verde” può essere necessaria, ma non è sufficiente per 8 miliardi di terrestri. Non può più esserci alcuna crescita nel mondo chiuso, soprattutto se si insiste con strategie passive, che assomigliano ai sacrifici che le antiche società tribali tributavano alle divinità per implorarne clemenza.

Così rispondiamo agli eventi climatici estremi rottamando la civiltà industriale, e rinunciando progressivamente alle libertà elementari, come quella di viaggiare, tendenza purtroppo rinforzata dalle pandemie globali come quella che ci ha colpiti quest’anno. Ridurre le emissioni di CO2 come sacrificio principale offerto al dio del climate change. Nessuno osa più neppure pronunciare la parola ‘industria’, uscita di soppiatto dal vocabolario politicamente corretto. Invece di pensare a strategie di mitigazione dei danni causati dal climate-change, per altro praticate in Olanda da tempo. O utilizzare il surplus idrico causato dallo scioglimento dei ghiacci per bonificare i deserti ed aumentare la superficie verde sul Pianeta Terra.

Ma la strategia chiave, quella che può portarci fuori dalle secche dal sistema di crisi globali che attanaglia la civiltà, è puntare in alto, dando inizio alla colonizzazione dello spazio geo-lunare.

Se non si ha questo coraggio è inutile creare partitini, magari condotti da persone serie e rispettabili, ma che non si distinguono, agli occhi degli elettori, dai partiti principali.

Fra l’altro si deve solo al totale sottosviluppo culturale della destra italiana, se non approfitta dell’enorme spazio lasciato dalla sinistra sul tema sviluppo industriale e space economy. Trump, per quanto delirante ed insopportabile su tutti i fronti, ha messo in campo una forte politica industriale, dando impulso all’iniziativa privata nello spazio (laddove Obama aveva lasciato l’imprenditoria spaziale più o meno da sola) e la ripresa decisa del programma di insediamento di una base lunare permanente.

La nostra destra invece non si rende conto, vive nel medioevo. Purtroppo neanche i libdem, nei quali avevo riposto qualche speranza, si rendono conto che avrebbero uno spazio enorme, per avanzare una strategia attiva e propositiva, fortemente votata allo sviluppo, ad un nuovo spirito imprenditoriale ispirato alla responsabilità sociale, prendendo esempio dalle eccellenze come Space X, Blue Origin, Virgin Galactic, aziende nate nel nuovo millennio, ma già capaci di contendere il mercato a giganti dell’aerospace tradizionale come ULA, Boeing, Lockheed Martin, Airbus, costrigendoli a riorientare le proprie strategie in favore dei lanciatori riutilizzabili.

Fra l’altro Emiliano, cui i pugliesi hanno riconfermato la fiducia, crede nella space economy (vedasi il progetto spazioporto di Grottaglie, e le sue proposte di trasformare l’Ilva in funzione aerospaziale). Sarà un caso?

L’avevo detto a Calenda, quando era venuto a Vercelli a presentare Azione, ad inizio Febbraio: mi rispose stizzito che lui si occupa dello spazio “serio”, cioè satellitare, non delle pagliacciate come il turismo spaziale… Ogni commento è superfluo.

Sono disponibile per organizzare incontri aperti online, utilizzando GSUITE Meet oppure Facebook live-stream.  Manifestate la vostra disponibilità qui.

Mi rivolgo a tutti i sinceri progressisti scientisti e tecnologisti, che non si rassegnano alla decrescita, non solo all’area libdem (l’anno scorso mi ero iscritto a +Europa, ma quest’anno non rinnoverò la tessera, deluso dalla strategia democristiana di Della Vedova e dalla totale inconsistenza programmatica).

In regalo la guida per navigare nel Terzo Millennio senza affogare nella frustrazione

Ciao, sono Adriano Autino,

da quarant’anni svolgo la mia ricerca filosofica sul destino della nostra civiltà, che sta raggiungendo gli otto miliardi di individui: una ricchezza immensa, se si considera che ciò che conta non sono i soldi, ma le persone con la loro intelligenza e la loro cultura (il loro know-how).

Da questa grande ricchezza — o meglio dai nostri stessi scarti — rischiamo però di essere soffocati e sommersi, se insistiamo a restare confinati nei limiti di un solo pianeta, pur avendo ormai sviluppato mezzi e tecnologie per espanderci nel sistema solare…

Ciò è causa di grande frustrazione, soprattutto per coloro che non riescono a vivere bene se non possono dare un contributo concreto all’evoluzione della civiltà.

In questa piccola guida ho inteso indicare alcune possibili vie d’uscita dalla frustrazione e dall’impotenza.

Una recensione di Battlestar Galactica

Una recensione di Battlestar Galactica

di Adriano V. Autino

Avendo visto tutte e 4 le serie, devo riconoscere che avevano ragione  coloro che mi hanno criticato circa un mese fa, quando avevo esternato le mie impressioni prevalentemente critiche, dopo aver visto solo alcuni episodi della prima serie. Nel mio attuale stato, se non di entusiasmo, almeno di sostanziale gradimento per questo prodotto televisivo, spero di trattenermi sempre ad almeno un passo dallo spoiler, per non rovinare la sorpresa a quanti ancora non l’avessero visto.

In effetti “Battlestar Galactica”, pur avendo qualche tratto in comune con Star Trek, dal punto di vista della pura narrazione avventurosa, ha poco in comune con la più famosa saga fantascientifica. Forse si può accostare maggiormente all’ultima serie di Star Trek, “Picard”, un altro prodotto senz’altro ascrivibile alla fantascienza moderna, almeno dal punto di vista della sceneggiatura e della caratterizzazione dei personaggi e delle storie che si intrecciano nella trama.

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L’agenda spaziale del 2020

L’agenda spaziale del 2020
di Adriano V. Autino

L’anno appena iniziato si preannuncia molto fitto di missioni spaziali, sia da parte dei dealer storici sia dei nuovi operatori, protagonisti del cosiddetto new space. Dopo alcuni ritardi, Boeing e SpaceX prevedono di portare entro la metà di quest’anno gli astronauti in orbita, interrompendo così la dipendenza americana dalle russe Sojuz.

La «Space Force» di Trump

Trump ha aperto la corsa alla militarizzazione dello spazio, inaugurando la US Space Force, che conta al suo esordio 16.000 uomini. Da tempo l’Air Force statunitense sperimenta uno shuttle senza equipaggio, l’X-37B, recentemente rientrato dopo una permanenza in orbita record di 780 giorni. Secondo indiscrezioni, sempre dubbie quando si tratta di programmi militari, dovrebbe tornare in orbita già quest’anno, per una nuova missione. La nuova Forza Spaziale statunitense non sembra comunque orientata, almeno per il momento, a dispiegare soldati nello spazio, ma si concentrerà sulla sicurezza nazionale e sulla difesa dei satelliti e dei veicoli dedicati alle comunicazioni internazionali e all’osservazione. La NATO, nel meeting di dicembre 2019, ha decretato lo spazio come possibile teatro di guerra. Cina, India e Francia hanno anch’esse in corso programmi spaziali militari.

Programmi militari a parte, quali sono le agende dei diversi attori coinvolti in quella che viene definita nuova corsa allo spazio?

Space X

L’11 gennaio Space X eseguirà l’Inflight Abort Test della capsula Crew Dragon. Il successo di questo test darà semaforo verde al primo trasporto degli astronauti Bob Behnken e Doug Hurley fino alla ISS: la missione Demo-2, prevista nel primo trimestre, al più tardi entro la metà del 2020. Un volo di grande importanza per Space X, trattandosi della sua prima missione con equipaggio. L’azienda di Elon Musk ha in calendario anche un nuovo lancio del Falcon Heavy per una missione Air Force, i cui requisiti hanno richiesto un razzo nuovo, non ancora utilizzato. Il successo più consistente di Space X, tra il 2018 ed il 2019, è costituito dal riutilizzo di vettori già utilizzati, ed il 2020 vedrà un ulteriore incremento di lanci di macchine che hanno già volato nello spazio, battendo tutti i record precedenti. Il 2020 potrebbe anche vedere il primo lancio in orbita della Starship. L’altro grande programma in cui Space X è impegnata quest’anno (e già iniziato nel 2019) è il lancio della rete di satelliti Starlink, il cui obiettivo è la realizzazione di una rete internet mondiale, che copra a basso costo tutti i paesi ad oggi scarsamente forniti delle infrastrutture di rete.

Blue Origin

La Blue Origin di Jeff Bezos ha compiuto con successo dodici lanci del suo razzo suborbitale riutilizzabile New Shepard, e prevede di portare passeggeri a quota 100 km, in un breve viaggio di circa 10 minuti. La capsula, fino ad oggi utilizzata per esperimenti scientifici e test di sensori, potrà portare fino a 6 persone. Una volta separata dal vettore, la navicella rientra a terra mediante paracadute. L’azienda di Bezos sta lavorando anche su altri progetti, tra i quali un veicolo orbitale, il New Glenn, che dovrebbe compiere il primo volo nel 2020. Il New Glenn, il cui primo stadio potrà essere riutilizzato 25 volte, si colloca nel range dei grandi lanciatori, con una capacità di carico che lo porta a competere direttamente con il Falcon Heavy di Space X e l’SLS della Boeing.

Virgin Galactic

Virgin Galactic ha compiuto nel 2019 il primo test con successo di SpaceShipTwo con equipaggio a bordo. Il primo volo con passeggeri, inizio ufficiale del turismo spaziale commerciale, è previsto per il 2020. Una notizia che rischia di apparire minore, a confronto con i poderosi programmi di esplorazione spaziale. Non deve però sfuggire come, ad oggi, l’impresa del turismo spaziale rappresenti l’unica prospettiva seria di trasporto di passeggeri civili (non astronauti) nello spazio, ciò che serve davvero, in uno scenario di espansione civile e colonizzazione dello spazio.

Rover NASA su Marte

Dal canto suo la NASA prevede di lanciare, il prossimo 17 luglio, la sua missione Mars 2020, che porterà un ennesimo rover sulla superficie del pianeta rosso.

Starliner Boeing

Per la metà dell’anno Boeing ha in programma il primo trasporto di astronauti alla ISS a bordo di una capsula Starliner. Ed in Agosto la sonda OSIRIS-REx porterà a terra dei campioni di polvere raccolti sull’asteroide Bennu.

Rosalind Franklin

In una finestra compresa tra il 26 luglio ed il 13 agosto ESA lancerà la sua missione Rosalind Franklin ExoMars rover verso Marte. Il 5 di febbraio NASA ed ESA, in una missione congiunta destinata a durare sette anni, lanceranno il Solar Orbiter. La sonda studierà la nostra stella da molto vicino, 0.28 unità astronomiche, ben all’interno dell’orbita di Mercurio.

I programmi cinesi

Di enorme interesse il programma cinese del 2020, che si apre sotto un ottimo auspicio: il 27 dicembre 2019 il vettore Lunga Marcia 5 è stato lanciato con successo, dislocando in orbita geostazionaria un satellite di 4 tonnellate. Il successo di LM5 apre la strada alla roadmap spaziale cinese con orizzonte 2050, che comprende una grande e permanente stazione spaziale in orbita terrestre, una base autosufficiente sulla superficie lunare ed una su Marte. Lungo 56 metri e dotato di una capacità di carico in orbita bassa 28 tonnellate, LM5 è uno dei più grandi razzi attivi al mondo, paragonabile all’Ariane 5 europeo o al Delta IV Heavy statunitense. Nel 2020 il razzo sarà utilizzato per portare la prima sonda cinese su Marte (fra luglio ed agosto), la sonda lunare Chang’e 5 e un modulo centrale per la nuova stazione spaziale con equipaggio, da completare entro il 2022, secondo le recenti dichiarazioni del vice capo della CNSA, l’agenzia spaziale cinese, Wu Yanhua. Altro particolare interessante, la sonda Chang’e 5 riporterà a terra dei campioni del suolo lunare.

La stazione spaziale del Dragone

La nuova stazione spaziale Tiangong, progettata per durare almeno 10 anni, peserà 66 tonnellate, estendibili fino a 180, e potrà ospitare tra i tre e i sei astronauti. Zhou Jianping spiega che l’attività della stazione potrebbe essere prolungata tramite degli interventi di manutenzione che saranno svolti direttamente in orbita. A prima vista la CNSA sembra voler ripetere pari pari l’esperienza della MIR e della ISS, e non sembra intenzionata a sorprenderci ad esempio con una stazione tethered, per sperimentare la gravità artificiale. Ma sappiamo ormai che la Cina, pure impegnata a ripetere l’esperienza americana e russa, si è già in realtà portata all’avanguardia, per ora nell’esplorazione lunare, che per i Cinesi non sembra rappresentare soltanto un passo verso Marte.

Le lune artificiali

Ultimo programma spaziale cinese degno di nota è quello delle “lune artificiali”, che dovrebbe vedere un primo lancio sperimentale quest’anno, per essere pienamente operativo nel 2022. Si tratta di satelliti dotati di uno schermo in grado di riflettere la luce solare. Lo scopo: integrare la luce lunare con una luminosità di otto volte superiore a quella del nostro satellite, permettendo all’amministrazione delle città interessate, di risparmiare 170 milioni di euro l’anno. Da ricordare lo studio preliminare del progetto “Lunetta”, sviluppato nel 1977 dalla Rockwell International (la società allora diretta da Krafft Ehricke), che si basava sostanzialmente sullo stesso principio.

Giappone ed Emirati Arabi

La sonda giapponese Hayabusa2 tornerà a terra verso fine anno, riportando campioni di rocce dall’asteroide Ryugu.

Gli Emirati Arabi lanceranno la loro prima missione marziana, la Hope Mars Mission, in collaborazione con il Giappone.

Agenzia Spaziale Indiana

L’agenzia spaziale indiana, dopo il parziale insuccesso della missione Chandrayan 2, ha annunciato Chandrayan 3, che potrebbe essere lanciata già quest’anno, ma più probabilmente nel 2021. Oltre alla nutrita attività satellitare, l’ISRO sta lavorando alla prima missione orbitale con equipaggio, prevista per il 2022.

Il progetto SABRE

Comincia finalmente ad entrare nelle fasi di test ed integrazione il progetto SABRE (Synergetic Air-Breathing Rocket Engine) che Reaction Engines sta sviluppando da tempo, sotto l’egida dell’agenzia spaziale UK. Alimentato da una combinazione di idrogeno ed ossigeno, SABRE può spingere uno spazioplano a Mach 5.4 (4,000 mph), per trasporti commerciali veloci, oppure a Mach 25 per trasferimenti orbitali. Concepita come la prima macchina realmente Single Stage To Orbit, si prevede che sia meno inquinante e meno costosa rispetto al volo aereo tradizionale. Reaction Engines è ora impegnata nel test di sottosistemi, mentre i primi test di volo sono previsti per la metà degli anni 20. I voli commerciali veri e propri non prima del 2030.

Il ruolo dell’Italia

E l’Italia? Dopo la recente firma di una dichiarazione di intenti congiunta tra NASA ed ASI, il sottosegretario con delega alle politiche spaziali Riccardo Fraccaro ha riportato che è stata riconosciuta l’eccellenza italiana, e che fra la NASA e l’ASI è stabilita una cooperazione bilaterale non solo per il ritorno sulla Luna — sarà italiana la tecnologia utilizzata per l’esplorazione del suolo lunare nel 2024 — ma in prospettiva anche per un programma a lungo termine dell’esplorazione umana di Marte. “Forti di questi risultati lavoreremo per massimizzare i benefici della cooperazione con la Nasa con l’obiettivo – ha dichiarato Fraccaro in una recente intervista – di rendere il settore aerospaziale il volano per lo sviluppo del nostro Paese“.

Il sogno del papà di Amazon: l’industrializzazione dello spazio geo-lunare

Il sogno del papà di Amazon: la vera conquista della luna passa anche un po’ da Vercelli

Probabilmente in Italia si sa poco o nulla a proposito di Jeff Bezos e di cosa sta facendo, oltre a dirigere la sua azienda Amazon, che a Vercelli dà lavoro a circa 600 persone, più di 5000 in Italia. Per quanto riguarda Amazon, i media nostrani ci informano soprattutto sui ritmi di lavoro nelle sue aziende, sugli standard di produttività elevati imposti dalla direzione, sulla concorrenza che la grande distribuzione esercita nei confronti del piccolo commercio.
Bezos è però anche uno dei principali protagonisti, insieme a Elon Musk, Richard Branson, Robert Bigelow, ed altri, di quella che viene chiamata New Space Economy. [continua]

Astroluca firmerà il 20° Natale sulla «Iss» Storia e aneddoti delle missioni natalizie

Il Natale viene festeggiato a bordo della International Space Station (Iss) sin dal 2000, anno dell’entrata in funzione della stazione orbitale. Durante la vita operativa della Iss quasi 100 astronauti hanno trascorso le festività natalizie in orbita. In precedenza, dal 1986, per 15 anni, 28 equipaggi di cosmonauti si erano avvicendati a bordo della Mir. Molti di loro avevano quindi trascorso le festività natalizie a bordo della la stazione orbitale russa. E come non ricordare le storiche missioni della Skylab, ed i tre pionieri Carr, Gibson e Po gue, che vi
trascorsero il Natale del 1973! In questi giorni di fine 2019, l’equipaggio della Iss ed il suo comandante Luca Parmitano si apprestano a festeggiare in orbita il ventesimo Natale, da quando la stazione ha iniziato il suo viaggio intorno al nostro pianeta, alla quota di 408 km. [continua]

Vedi qui entrambi gli articoli interi.

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