È un leitmotiv delle destre e, purtroppo, spesso, anche di affrettate condivisioni da parte di esponenti dell’area cosiddetta libdem. Viene accusato, il Reddito di Cittadinanza, di fare “concorrenza” alle imprese sul terreno dell’offerta di lavoro, poiché molti preferirebbero percepire l’RDC piuttosto che lavorare per le imprese agricole, o altri in ruoli, in genere di bassa manovalanza.Se fosse, effettivamente, comprovato da una seria indagine sociale, tale risultato andrebbe piuttosto annoverato tra i rari risultati positivi dell’RDC, dal punto di vista sociale. Vedo già parecchi sopraccigli sollevarsi perplessi… Autino ha fatto una scelta classista, dalla parte dei lavoratori? Se così fosse non mi scandalizzerei, che male ci sarebbe a difendere i lavoratori, in particolare quelli precari ed a rischio di povertà? Ma, almeno in questo caso, non si tratta di una scelta classista, direi piuttosto il contrario.Riflettano, dunque, in particolare coloro che – aderendo a +Europa, Azione o Italia Viva – annoverano tra le colpe dell’RDC quella di “sottrarre braccia all’agricoltura”. Stiamo infatti parlando di attività che rasentano lo schiavismo – i.e. pagare per il lavoro il minimo necessario per la sopravvivenza, precludendo con ciò, per quei lavoratori, qualsiasi possibilità di crescita sociale. Vorrei ricordare che Muhammad Yunus — sia pure in altro contesto e condizioni sociali di estremo sottosviluppo del suo Paese, il Bangladesh, – inventò il microcredito, permettendo con ciò a migliaia di schiave del settore tessile di comprarsi un telaio, liberandosi dalla schiavitù e diventando piccole imprenditrici. Con questa geniale iniziativa il “banchiere dei poveri” diede un formidabile impulso alla crescita economica nel suo Paese, favorendo la crescita sociale – da schiavi sottoproletari a piccoli imprenditori – di una parte considerevole della popolazione. Il modello venne poi riprodotto con successo (e grande imbarazzo del Fondo Monetario Internazionale) in altre parti del mondo.

Dunque, tornando all’Italia, che beneficio ne potrebbe avere, questo Paese, dal perdurare del lavoro vergognosamente sottopagato, retribuito spesso in nero, elargito con arroganza mafiosa dai caporali o anche, da aziende formalmente in regola, ma che pretendono di poter scegliere da un esercito di disperati, a tariffe di 2 o 3 euro l’ora, perché è di questo che stiamo parlando? Mi sembra più che logico, se un lavoratore deve accontentarsi di 5 o 600 euro al mese per faticare sotto il sole 10 ore al giorno, che scelga un’alternativa, se ce l’ha. L’RDC glie l’ha data. Quel lavoratore, grazie all’RDC, potrà compiere ugualmente il suo “dovere” di consumatore, impedendo così al mercato di collassare sotto i colpi della crisi, dei lockdown ed altre sfighe che caratterizzano quest’epoca storica. Se le imprese vogliono competere, dovranno impegnarsi e crescere, assumendo le persone, pagando un minimo decente ai lavoratori, puntando sulla qualità, anziché sullo sfruttamento bestiale. Un problema sindacale? Solo in parte: quando c’è di mezzo lo schiavismo non si tratta più di migliorare le condizioni di lavoro e di salario, tema prettamente sindacale, oggetto di contrattazione. Quando c’è di mezzo lo schiavismo parliamo di diritti umani, di costituzione, di lotta alle mafie, comunque si presentino. L’RDC, se è vero che sottrae schiavi agli schiavisti, si rivelerebbe quindi valido su due fronti: l’essere un forte elemento di mitigazione del disastro sociale causato dalla pandemia, ed essere un’arma importante nella lotta contro lo schiavismo e la mafia. Come non condividere quindi l’opinione recentemente espressa da Mario Draghi, di condivisione del principio del reddito di cittadinanza? Senza contare che l’RDC esiste, in qualche forma, nella maggior parte dei Paesi europei.

Non si può ovviamente tacere dei punti di fallimento dell’RDC, soprattutto sul fronte della creazione di posti di lavoro. Qui sta una debolezza ideologica dei promotori, i 5 Stelle: l’obiettivo di creare dei “posti di lavoro”. Si dovrebbe probabilmente puntare sulla creazione di lavoro, un concetto solo apparentemente più generico, in realtà molto più ampio e potente. Creare posti di lavoro presuppone di agire principalmente, se non esclusivamente, sull’offerta di lavoro delle aziende esistenti. Creare lavoro comprende invece lo stimolo alla creazione di nuove aziende, quindi puntare alla promozione e crescita sociale. Perché nuove aziende, magari anche cooperative formate da lavoratori, non potrebbero proprio competere sul mercato agricolo? In secondo luogo, per quanto riguarda la creazione di lavoro, si deve anche osservare che l’RDC è stata una rivoluzione annunciata, e non sviluppata. Quando si annunciano rivoluzioni, poi bisogna farle. Non abbiamo infatti visto alcun “treno blindato” percorrere la penisola da Nord a Sud e viceversa, andando a scovare i tanti “navigator” che hanno trovato un solo posto di lavoro, il proprio. Cacciarli a calci in culo dalla scrivania occupata abusivamente, sostituendoli prima che potessero causare il fallimento della rivoluzione stessa. I navigator avrebbero dovuto essere formati ad una metodologia fortemente analitica, volta a comprendere le capacità, le competenze specifiche e le inclinazioni personali dei percettori di RDC da un alto. Dall’altro lato battere il territorio senza sosta, analizzando le aziende, le loro esigenze, ricavando così le opportunità di impiego. È chiaro che nel processo entrerebbero anche aziende di elevato livello tecnologico, non meno in crisi di altre imprese. È altrettanto chiaro che nel processo dovrebbero anche entrare percorsi di formazione, di qualificazione e riqualificazione delle persone ed anche delle aziende. E perché non inserire lo strumento del microcredito, nel processo di supporto alle aspirazioni e progetti di (selezionati) percettori di RDC, finalizzato alla creazione di nuova impresa?

Significherebbe un approccio fortemente umanista al tema dell’occupazione, della creazione di lavoro e di nuova impresa, mettendo al centro le persone, le aspirazioni, i progetti, gli obiettivi di crescita e di realizzazione personale e sociale. Lo so, sarebbe chiedere troppo ai “pentacosi”, come qualcuno li definisce. Tuttavia chiederei a coloro che tentano sinceramente di costruire un nuovo modello repubblicano di governance, di non soggiacere alle facili categorizzazioni ideologiche della destra, e di valutare con oggettività i meriti ed i demeriti dell’RDC e di altre ricette di governo. Si passerebbe quindi – dal primitivo approccio RDC SI/NO caro ai tanto “semplificatori” sia di destra che di sinistra – ad una proficua discussione sulla qualità di un RDC, da riformare per il meglio, senza eliminare i pochi ma significativi elementi positivi e progressisti (nel senso del progresso, sia ben chiaro). Perché da questa maturità ed equità di giudizio dipende poi la capacità di governo illuminato di cui il nostro Paese ha un disperato bisogno.