La legge della foresta

Inevitabilmente si sente molto parlare di lupi, orsi, ed altri animali selvatici, da qualche anno reintrodotti nei boschi italiani. Inevitabilmente, perché la popolazione di questi animali sta crescendo, e quindi si moltiplicano i casi di incontro con esemplari della nostra specie, che in qualche caso finiscono con qualcuno che si fa male, umani e/o animali.
Un caso a parte, se volete, è rappresentato dai cinghiali, reimmessi inizialmente a scopo venatorio (in realtà porcastri d’allevamento liberati nelle selve), e poi riprodottisi a dismisura. Da qualche tempo questa particolare evoluzione ha portato al diffondersi incontrollato della peste suina, con grave danno per gli allevamenti di suini. Ma non è di questo che volevo parlare, anche se utile alla riflessione.
Adesso so che molti amici animalisti qui si arrabbieranno, ma il mio vuole essere solo un invito a riflettere su qualche risvolto cui magari finora non avete pensato. Secondo logica, prima di essere animalista uno dovrebbe essere umanista, e quindi estendere la propria compassione a tutti i viventi, non sostituire gli umani con gli animali, nella propria considerazione. La compassione per tutti i viventi, infatti, dovrebbe includere anche noi umani, che fino a prova contraria, siamo altrettanto viventi.
Tra le molte dotte disquisizioni che proliferano sul web e sui media, leggiamo spesso lezioncine saccenti di coloro che vorrebbero istruirci sul come fare a passeggiare nei boschi, senza incorrere in pericoli e, nel caso di incontri ravvicinati con quelle che a tutti gli effetti sono bestie feroci (almeno nel caso di lupi ed orsi), come fare per non irritare gli animali, lasciare che vadano per la loro strada, ed andarcene alla chetichella per la nostra. Si intuisce persino un’esortazione ad improvvisarci novelli San Francesco, capaci di ammansire qualsiasi animale con la nostra calma olimpica, e la nostra consapevolezza che “nessun animale attacca a meno che si senta in pericolo, oppure veda i propri cuccioli in pericolo”.
Belle parole. Ma questi maestri di pensiero hanno una sia pur vaga idea di quanto vasta sia la platea di coloro che magari una volta ogni tanto ambirebbero passeggiare in un bosco? Mi riferisco alla grande varietà di tipi umani, di caratteri, di età diverse, di gradazioni di saldezza psicologica, capacità di dominare le emozioni, in particolare in questo caso la paura atavica quando ci si trova di fronte a determinati animali senza una rete di protezione in mezzo. Quindi, cosa stiamo dicendo, in realtà? Stiamo dicendo: se non sei un cavaliere senza macchia e senza paura, dotato di coraggio e saldezza psicologica, è meglio che te ne stai a casa, o ti limiti a passeggiare nei centri abitati. Se non ci sai fare con gli animali, se sei un tipo paurosetto e poco incline a sfidare il pericolo, evita di andare a passeggiare nei boschi. Di più, se sei un ragazzino, per ovvie ragioni di età tendente alla sbruffonaggine, non andare nei boschi… perché lì c’è il lupo!
Attenzione, non stiamo parlando di cacciatori, o di sconsiderati sprezzanti del pericolo. Stiamo parlando di persone tendenti ad avere una più o meno sacrosanta paura, in tanti modi diversi e vari. Ora, si sa che le bestie feroci sono sensibili alla paura. Metti che il nostro lupo (o branco, perché questi animali amano girare in branchi), abbia un po’ di fame, o voglia difendere i propri cuccioli. L’umano pauroso magari fa qualche gesto che innesca la reazione del predatore. O vogliamo parlare di un bambino, che magari con i cinghialetti vorrebbe giocare, quando la mamma cinghiala potrebbe non essere d’accordo?
Qui probabilmente molti stanno già pensando: ma se sei debole e pauroso, e fai movimenti stupidi, te lo sei meritato! Bravi. Mi viene in mente un paragone. In un giardino c’è un grosso cane da guardia, di quelli pericolosi. Sul cancello c’è un avviso “Attenzione, cane feroce” ecc… La risposta tipica? Se qualcuno entra, violando la mia proprietà, era stato avvertito, che lo faceva a suo rischio e pericolo! Bene, avrà quello che si merita. Ma se si tratta di ragazzini che volevano fare una bravata? Meritano di essere sbranati?
Tornando alle passeggiate nei boschi, che percentuale della popolazione stiamo tagliando fuori? Dovremmo mettere cartelli sul limitare, tipo: “Si sconsiglia di proseguire ad individui non psicologicamente attrezzati.”? E con questo, avremmo fatto ciò che basta, per evitare episodi cruenti? Sospetto che molti intenderebbero tali avvertimenti più come protezione degli animali che degli umani, visto il disprezzo strisciante che si sta propagando nella società incantata dalla “natura selvaggia”, verso i deboli e i timorosi.
Attenzione, tanto per fare un esempio: stiamo ingiungendo di stare lontani dai boschi anche ad individui come Stephen Hawking, che fisicamente era molto debole, e probabilmente avrebbe avuto paura delle belve feroci ma, quanto ad intelligenza, mangiava i fagioli in testa a moltissimi di noi!
E qui non possiamo evitare qualche ragionamento di tipo antropologico.
Per molti secoli ci siamo dedicati ad urbanizzare il territorio, a renderlo meno pericoloso, mettendoci il più possibile al riparo da eventi naturali e dalle bestie feroci. Tant’è vero che alcune specie, come i lupi e gli orsi, in Italia erano ormai molto ridotte, e quasi a rischio di estinzione. A questo punto si è pensato bene di reintrodurre esemplari di queste specie da territori vicini (Slovenia, Croazia, …), dove esiste ancora una popolazione in relativo sviluppo. Piano piano i nostri boschi si stanno ritrasformando in foreste, dove circolano predatori che si cibano di altri animali, compresi gli ovini dei nostri allevamenti, o distruggono le coltivazioni (cinghiali). E, laddove incontrino umani non psicologicamente preparati, possono attaccarli, ferirli, ed anche ucciderli.
Ora, quando nel passato c’erano le foreste, chi ci andava ci andava armato. Era, cioè, in grado di difendersi, evitando così di lascarci la pelle. Se l’allevatore beccava il lupo a razziare le pecore o le galline, gli sparava. In un ambiente relativamente selvaggio — la foresta, o le coltivazioni ed allevamenti vicini alle foreste – gli umani, come gli altri animali, si difendevano con i mezzi a loro disposizione.
Se la nostra società, cui è venuto a noia l’ambiente relativamente sicuro che i nostri nonni e bisnonni avevano cercato di preparare per noi, intende ora riportare l’ambiente ad un livello meno urbanizzato, e più selvaggio, bisognerà accettarne le conseguenze. Fra l’altro, come abbiamo già visto, gli animali selvatici non si fanno alcuno scrupolo ad uscire dalle foreste e cercare cibo fra le case e nei cassonetti… Non è detto che, uscendo a fare una passeggiata vicino a casa la sera, non ci si imbatta in qualche visitatore non proprio amichevole.
Siamo consapevoli che, dal punto di vista antropologico, stiamo parlando di una regressione? Si sta infatti marciando a grandi passi verso un inselvatichimento del territorio intero, e non di istituire delle riserve, dei parchi naturali, magari debitamente recintati, in cui il pericolo fosse gestito.
Cosa voglio dire? Voglio dire che, se vogliamo davvero che il nostro territorio si popoli dinuovo di bestie feroci, per quanto ci possano piacere, dovremo tornare a pensare a difenderci, dotando anche i paurosi, o soprattutto i paurosi, di strumenti di difesa, “educare” i nostri bambini a non inoltrarsi nei boschi da soli, ecc, ecc. Così come, ai contadini ed agli allevatori, si dovrà permettere di sparare ai predatori, vendendo la pelle di lupi ed orsi, e facendo prosciutti e salsicce dei cinghiali abbattuti. L’idea di risarcirli per le pecore perse, a spese dei contribuenti, a me non piace granché. Quei soldi sarebbero molto meglio impiegati per politiche di vero sviluppo industriale. E qui non comincio neppure il discorso, perché sapete già bene come la penso! Guardare in alto.
Cosa? Non ci piace quella società dove si torna ad ammazzare per non essere ammazzati? Ma quella è la natura, carissimi, la cui legge è esattamente questa: uccidere o essere uccisi.

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