34) L’universo mi sta costringendo a perseguire i miei obiettivi?
Stazione Cislunare O’Neill Uno – Albany – D06-04/11/2042
Albany è preoccupata. Una volta uscita dalla sala del bar/ristorante insieme a Bonheur e Angel si era ritrovata sola, da un momento all’altro. Bonheur aveva bofonchiato velocemente un saluto. Angel si era semplicemente dileguato, senza una parola. Sono passate almeno ventiquattro ore.
Un breve incontro con il padre le ha permesso di sapere che il collaudo sta per iniziare, sotto la supervisione del suo ragazzo, dinuovo completamente impegnato nel suo compito. Sono diverse quindi le preocupazioni che stringono lo stomaco della ragazza. Chiaramente Angel è sottoposto a una pressione che forse non ha mai dovuto sostenere in precedenza nella sua vita. Riuscirà a reggere, la sua psiche così particolare? Come un cavallo di razza, capace di prestazioni incredibili, lo strano ragazzo è anche molto fragile, e può andare in crisi in qualsiasi momento. Albany si chiede se il padre se ne renda davvero conto. Forse lei non ha chiarito a sufficienza la situazione, con il genitore, del resto anche lui sottoposto a una pressione notevole.
È una proprietà del suo carattere, quella di precoccuparsi di tutte le persone che ama, e ritenersi sempre responsabile, anche troppo. Riconosce che spesso questa predisposizione a preoccuparsi degli altri ha portato più problemi che soluzioni. C’è anche un elemento di sottovalutazione delle capacità altrui, in questo atteggiamento? Albany possiede una routine mentale costantemente impegnata nell’analizzare il proprio comportamento, le proprie decisioni, le proprie inclinazioni, in particolare per quanto riguarda il rapporto con gli altri. Sa benissimo che così non si vive molto bene, e che dovrebbe decidersi a essere un po’ più individualista. Gli altri sono persone a se stanti, capaci di badare a se stessi. L’unica attenzione realmente dovuta dovrebbe quindi essere quella di non far loro mancare le informazioni delle quali dovesse trovarsi, casualmente o meno, in possesso, in modo da favorire la capacità di decidere in modo informato.
Mentre ragiona tra sé di tutto questo, Albany si è fermata di fronte a una grande finestra panoramica, un’ampia vetrata che si apre sullo spazio. Mentre la stazione ruota lentamente, la Luna e la Terra entrano entrambe nel campo visivo, e la bellezza dell’immagine non manca di causare un profondo turbamento nell’animo sensibile della ragazza. “Ormai dovrei averci fatto l’abitudine”, riflette, cercando dentro di sé quella nota di cinismo che sa bene di non possedere.
Ed è in quel mentre che si accorge della presenza, a un paio di metri sulla sua destra, di un altro osservatore solitario della bellezza del sistema geo-lunare visto da L5.
Il misterioso individuo, pure immerso nella sua personale contemplazione, non può evitare di sbirciare con discrezione verso l’altrettanto affascinante presenza alla sua sinistra.
Albany si accorge subito dell’attenzione della quale è oggetto, e sente un improvviso rossore colorarle le guance. L’intruso, di statura poco più elevata della sua, sfoggia pantaloni attillati in vita e tendenti a ricadere abbondanti fino alle caviglie, per poi richiudersi sugli stivaletti di gusto un po’ retrò. La giacca è ridotta ai minimi termini e del tutto asimmetrica per quanto riguarda colori e modellazione dei baveri, secondo la moda del momento. Aperta sul davanti, lascia vedere una camicia di colore giallo piuttosto sgargiante, il cui colletto alto senza risvolti rimane magicamente in posizione, pur ostentando una comodissima e rilassante morbidezza. Poche file di minuscoli led ammiccano discretamente, appena sottolineando parte dei profili della giacca e dei pantaloni.
Albany non può fare a meno di considerare tra sé che lo sconosciuto risulterebbe affascinante anche con un abbigliamento meno ricercato ed elegante. Nello stesso tempo considera il proprio abbigliamento, del tutto ordinario, ed ha una quasi impercettibile smorfietta di disappunto. “Ma cosa sto facendo?” s’interroga “mi metto a fare la civetta con uno sconosciuto?”. Una violenta stretta allo stomaco la informa subito che l’Angel che dimora ormai ben radicato nel suo cuore e nella sua mente non sarebbe affatto contento di una tale eventualità.
Lo sconosciuto la gratifica di uno sguardo quasi diretto, mentre un accenno di sorriso gli increspa leggermente le labbra. Ma non è un sorriso malizioso. Ad Albany sembra un sorriso gentile, buono, comprensivo. Non può impedirsi di aprire le ciglia in direzione della inquietante presenza, in un ammiccare quasi involontario, un sorriso degli occhi, che dice molto di più di qualsiasi movimento delle labbra.
La mente razionale della ragazza vorrebbe rimangiarsi quel piccolo gesto di apertura, ma, come si dice, non si può rimettere il dentifricio dentro al tubetto, una volta che è uscito. Ormai lo sconosciuto si è voltato verso di lei, ed è ora in marcia, per superare la piccola distanza di forse tre metri, ma che fino a poco prima sembrava molto più grande, nonché invalicabile. Come in un ralentir cinematografico, lunghe gambe coprono la distanza con grandi ma misurate falcate, le ampie ridondanze dei pantaloni accompagnano il movimento fluendo armonicamente.
Albany si rende conto con terrore che il suo sguardo inizialmente attratto da tale movimento, si sofferma, sia pure brevemente, sul “pacco”, il cui rilievo è messo in evidenza e poi nascosto, nell’alternanza dell’incedere – destra, sinistra – innocentemente inconsapevole dei turbamenti sollevati.
Mentre Albany è palesemente confusa e spiazzata dalle proprie reazioni, l’uomo che si avvicina appare quasi infantilmente gioioso, mentre un sorriso aperto gli illumina ormai il volto, quasi che una luce improvvisa fosse stata accesa nell’ampio salone panoramico. La mano destra sta per tendersi, nel gesto tradizionale di chi intende presentarsi, ma subito si ritrae, mentre un piccolo dubbio interrompe velocemente il sorriso. Si ferma ad un passo dal proprio obiettivo, e assume una posa un po’ più formale, sia pure improntata a grande cordialità e confidenza.
«Quando tu smetterai di voler riempire la tua coppa di felicità e inizierai a riempire quella degli altri, scoprirai, con meraviglia, che la tua sarà sempre piena.» Ha detto la sua, in buon italiano, con lieve accento newyorkese, e ora tace, guardando gli occhi di Albany un po’ in tralice, con la tipica espressione del bambino saccente, che vuole prendere in fallo gli adulti.
Ma non è facile sorprendere Albany, che riconosce subito la citazione: «Paramahansa Yogananda!» Dichiara immediatamente, e la gioia di avere subito centrato l’autore – pur non ricordando da quale scritto sia tratto l’aforisma – pervade allegramente il volto della giovane, che allunga prontamente la mano e si presenta: «Sono Albany Fargenti!»
«Kyle Butler», si presenta a sua volta il giovanotto, continuando a squadrare Albany negli occhi, e intanto afferra la mano tesa, mantenendo la stretta per un tempo considerevolmente più lungo del solito, tra persone fino a poco prima sconosciute. A malincuore lascia andare la mano della ragazza, e con la propria mano ora libera indica il grandioso panorama in lento movimento, fuori dalla vetrata. La Luna, scolpita come un gioiello marmoreo sulla destra, straordinariamente vivida ed illuminata da violenti chiaroscuri, con aree intermedie, dove si susseguono morbidamente tutte le gradazioni del grigio. Ed il grande globo bianco-azzurro della Terra, sulla sinistra. Il sole, lontano, illumina la scena dall’estrema destra. Ma la lenta rotazione della stazione procede inesorabile: tutta la visione evolve, e in poche decine di secondi i due si ritrovano a guardare lo spazio aperto, nero e trapunto di un numero sconfinato di stelle, corpi celesti, ammassi stellari, nove, e tutto il maestoso e spaventoso scenario che il cosmo riserva a chi lo contempla dal di fuori dell’atmosfera terrestre.
Albany ha visto ormai moltissime volte questo spettacolo, ma più spesso da finestre ed oblò più piccoli, che permettono la vista di porzioni più ristrette. Oppure, durante uscite extraveicolari, ha goduto di una vista enormemente più grande, davanti alla quale ci si deve piuttosto preoccupare di tenere a bada la spaventosa sensazione di essere soli in mezzo all’infinito, e di non essere completamente fagocitati nella contemplazione di tale spaventosa meraviglia.
«Come ha potuto Giacomo Leopardi intuire tutto questo, “sedendo e mirando” più di due secoli fa, in cima ad un colle, sul fondo del pozzo gravitazionale terrestre?» Il giovane ha pronunciato la sua considerazione sommessamente, in tono quasi reverente. Ma, evidentemente, la sua PAI non dorme, perché subito l’ambiente si riempie di una calda voce che recita in perfetto italiano il grande poema leopardiano:
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
infinità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.»
…
È come se la realtà venisse di colpo accresciuta nella risoluzione delle immagini, nella chiarezza e dettaglio dei suoni, e persino nei molti lievi odori che aleggiano nella grande sala panoramica. Albany è cosciente di ogni più piccolo dettaglio. Torna a rivolgere lo sguardo all’esterno e, meraviglia!, lo scenario dello spazio, nel quale la Terra e la Luna hanno rifatto il loro maestoso ingresso, appare come se una mano invisibile avesse steso una mano di una vernice lucidante. Ogni singolo anfratto della superfice lunare scintilla nei suoi contorni netti, quando la luce del sole ne trae contrasti impossibili anche solo da immaginare.
Albany sbircia di sottecchi il volto del suo nuovo amico, e sembra scorgervi dinuovo un’ombra di divertimento, un po’ malizioso. «Fammi capire,» esordisce «c’è il tuo zampino in questa fioritura di iperrealismo stupefacente? Mi hai drogata, forse?»
Kyle assume un’aria blandamente offesa: «No no, per carità! Ammetto che si tratta di una tecnica che agisce direttamente sul tuo sistema percettivo. Ma niente di chimico: il mio apparecchietto si limita ad influenzare le connessioni che portano le informazioni dai tuoi organi di senso al tuo cervello, aumentandone la risoluzione, e…»
«E?» fa eco lei, sentendosi subito un po’ stupida per non saper reagire diversamente.
«E, sinora stai sperimentando solo vista e udito… non hai ancora provato il tatto!» Così dicendo, con gesto improvviso e tuttavia gentile, e a suo modo premuroso, allunga una mano, e sfiora leggermente con le dita il dorso della mano di lei.
«Oh, Dio…» È stato come se lo stesso universo avesse allungato una mano per toccare proprio lei, trasmettendole una vera e propria scossa di gioia tattile. Un po’ come se la sua mano fosse diventata improvvisamente una zona erogena del suo corpo, ma molto di più. Non può fare a meno di allungare a sua volta la mano, non fosse che per verificare di non aver sognato. Afferra la mano che lui ha lasciato negligentemente fluttuare lì vicino, e viene letteralmente sommersa da un incanto totale.
«Ecco,» spiega lui, ora ritrendosi prudentemente «adesso immagina… tutto il resto!»
«Mmh, ma… che cazzo di apparecchietto?!?» Prorompe lei tra l’imbarazzato e il curioso, mentre si rende conto del proprio stato di eccitazione, e un prepotente rossore le imporpora le guance.
«Questo apparecchietto!» Kyle ha estratto, col solito sorrisetto malizioso, da una piccola borsa che porta a tracolla, per l’appunto un apparecchietto, tipo un piccolo parallelepipedo dagli angoli arrotondati, su un lato del quale ammiccano alcuni led. La ragazza è ancora una volta sorpresa, e non riesce ad argomentare, benché parecchie domande si affollino nella sua mente.
«Adesso forse cominci a capire i risvolti, e il grande lavoro che c’è dietro all’impegno di portare gioia alla gente.»
«Ma cos’è questa storia? Da un po’ di giorni non faccio che incocciare in eventi o persone che hanno a che fare con questa mia fissa, del voler portare gioia alla gente…» Albany è quasi indispettita «È quasi come se l’universo si fosse messo in testa di costringermi a perseguire i miei obiettivi…» Ha parlato ancora sotto l’effetto della grande emozione, senza prestare attenzione a quello che sta dicendo.
Nel frattempo Kyle ha pigiato un minuscolo pulsante sull’ apparecchietto, e la realtà è tornata normale. «Mmh… è possibile.» Commenta pensoso, portandosi un dito alle labbra e corrugando leggermente le sopracciglie.
«Inoltre io sono impegnata. Sono presa, sono… innamorata!» La piena della sincerità sembra inarrestabile, ma finalmente Albany si costringe malvolentieri a porre fine al fiume di confidenze intime, che sta propinando a un perfetto sconosciuto.
«Tuttavia,» prosegue lui, come se lei non avesse neanche parlato, rivelando una dose di tatto impensabile, considerata la giovane età, «la verità potrebbe essere diversa!» E intanto si volge ad ammiccare al vecchio signore che sta pigramente facendo il suo ingresso nella sala panoramica.
«Vedo che hai già conosciuto Kyle!» Il vecchio signore altri non è se non Bonheur, che si avvicina ai due.
«Ho pensato molto alla nostra ultima conversazione, ed al tuo progetto, soprattutto al fatto che non sei riuscita finora ad individuare una strada per iniziare a perseguirlo davvero. Così avevo pensato di presentarti Kyle.» Bonheur si sofferma un attimo a valutare l’effetto della rivelazione sullo stato d’animo della ragazza che appare, se possibile, ancora più confusa. Ancora una volta sopraffatta dalla sensazione di non essere per niente in controllo della propria vita.
«Ehm…» riprende l’anziano gentiluomo, «Kyle è entrato con un pass da medialista, ma in realtà è qui per curiosare per conto dei Serial Joyers…» Così dicendo esibisce un sorrisetto sornione, corredato da un’occhiata complice al soggetto in questione. «Se ti va, potremmo discutere il tuo possibile inserimento nell’organizzazione.»
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