17) Ma questo è mio padre!

High Europe One – Vittorio e Albany – D02-31/10/2042

Come Dio, o chi per lui, ha voluto, il Moon Express è arrivato in prossimità di HEO, in un tempo mai abbastanza breve per chi non è abituato a questo tipo di volo spaziale, ancora molto simile al volo degli Shuttle e delle Sojuz di ormai quarant’anni addietro, anche se l’ambiente interno del veicolo è più spazioso ed accogliente. Il grosso primo stadio riutilizzabile ha portato la navetta nell’orbita di trasferimento, a trecento chilometri, in un quarto d’ora circa. Da lì, dopo aver percorso quasi un’intera orbita, in circa settanta minuti, il Moon Express ha acceso il propulsore nucleare, dando inizio all’orbita di trasferimento. È qui che i tremendi progressi compiuti dalle tecnologie della navigabilità interorbitale danno il loro meglio. Solo due decenni addietro le orbite di trasferimento dei satelliti destinati a GEO potevano richiedere fino ad un mese, per raggiungere quota 35.786 chilometri e poi il punto e l’inclinazione precisi dove si voleva posizionare il satellite. Con le tecnologie attuali la distanza tra le due orbite viene coperta in circa quattro ore, mediante una sequenza di accelerazioni e decelerazioni che permettono di passare progressivamente ad orbite via via più alte, fino a GEO.

Attraverso la finestra a fianco della sua poltrona, Vittorio vede la grande stazione orbitale, uno spettacolo che non manca mai di lasciarlo senza fiato. Inguaribile romantico, subito visualizza nella mente l’hotel di “2001 Odissea nello spazio”, quel vecchio film di Stanley Kubrik, al cui soggetto aveva contribuito Arthur Clarke. Dagli altoparlanti della cabina passeggeri si diffondono le note eterne di “Wish you were here” dei Pink Floyd. High Europe One è là che gira maestosa, il sole luccica su una falce di Terra, infinite stelle brillano come gioielli di tutti i colori sul nero dello spazio profondo, ma questo spazio è tutt’altro che deserto! Molte luci contro il cielo nero, che non sono stelle, ma opera dell’uomo. La Terra è sempre un piccolo pianeta blu sperduto nel cosmo, da stringere il cuore se si pensa quant’è fragile, ma il cosmo non sembra più così freddo ed inospitale. È una sensazione di grande fiducia nelle possibilità del genere umano, infatti quel piccolo pianeta non è più chiuso, e l’umanità non vi è più confinata senza speranza. Oggi possiamo dire a quel pianetino: tranquillo, l’umanità sta mettendo basi tutto intorno, ed anche più in là. Qualsiasi cosa succeda, la Madre Terra non è più sola e isolata.

Mentre il Moon Express si avvicina ed attende il permesso d’attracco, dall’altra parte della stazione, al mozzo centrale, sta attraccando un grande veliero interplanetario! Beh, non è che attracchi davvero, diciamo che si avvicina ad una distanza che permette il trasbordo sicuro di persone e merci. Quella nave è così grande che, se si connettesse alla stazione, ne comprometterebbe l’assetto e la rotazione. La comandante informa i passeggeri che stanno guardando nientemeno che la grande Marco Polo, di ritorno dai confini del Sistema Solare, dove ha navigato, per più di tre anni, raccogliendo materiali cometari ed acqua da fornire alle installazioni cislunari e cismarziane.

È difficile descrivere la sensazione di enorme potenza contenuta, il poderoso spettacolo di quel leviatano che ruota sul suo asse, in avvicinamento alla stazione! Quella nave è una vera città, capace di ospitare 100.000 tra tecnici, ricercatori, equipaggio e passeggeri. Fu assemblata, ormai vent’anni fa, completamente in orbita, utilizzando il grande cantiere orbitale costruito intorno alla International Space Station. Il veliero si dispone a perno “sotto” la stazione, ne uguaglia la rotazione ed estromette strutture flessibili, sufficientemente molli, grandi ed informi da non esercitare alcuna costrizione sulle due strutture. Le persone e i materiali passeranno in una specie di nuvola di sintotela plastificata. La nuvola è dotata di schermatura antiradiazioni, ma non è pressurizzata all’interno, quindi le persone passeranno dalla nave alla stazione in tuta EVA. La grande nave non ha chiuso completamente le vele solari, ed è uno spettacolo formidabile! La struttura ha mille curve, anfratti, strumentazioni, luci, e si possono vedere persone, piccolissime in confronto alla mole sconfinata della nave, che ne percorrono indaffarate i ponti illuminati, dietro le grandi finestrature.

Gli smisurati serbatoi, pieni d’acqua, seguono la nave, in una sorta di traino laser-guidato, ad alcune migliaia di km di distanza, in attesa di concludere i negoziati con le aziende dell’acqua di MoonCity, della Belt, di MarsPhase. Si dice che sia in corso di progettazione una nave ancora più grande della Marco Polo, con il compito di cercare acqua in quantità oceaniche, per un programma, appunto, di oceanizzazione di Marte. La Marco Polo ha iniziato da alcune ore, prima ancora di entrare nello spazio terrestre, a riversare la propria base dati, aggiornata nel corso di tre anni di missione, nelle capienti memorie ottiche di HEO, le cui stazioni GraviMedia si sono accaparrate per prime i diritti di sfruttamento dei dati e delle informazioni scientifiche. Ai tecnici GraviMedia di HEO spetta ora un lungo lavoro di catalogazione, ordinamento, suddivisione dei dati. Quando avranno finito il loro lavoro (o anche prima, quando cominceranno ad esserci porzioni significative di dati) entreranno in gioco le grosse corporation di commercio dati, sia terrestri sia operanti su diverse stazioni. Sarà loro compito analizzare i dati dal punto di vista di mercato, e offrirne parti, o rielaborazioni di vari insiemi, a potenziali acquirenti dei quali conoscono puntualmente le esigenze: un eccitante ribollire di attività, in cui operano aziende grandi e potenti con interessi a vasto raggio, accanto a cluster di micro-aziende, coadunate per obiettivi specifici di sfruttamento dei dati portati dalla Marco Polo. Ogni entità trarrà aspetti ed informazioni diversissime dall’enorme mole di dati: un flusso economico che fino a ieri non esisteva prenderà l’avvio nello spazio di una notte!

La comandante del Moon Express ha informato i gentili passeggeri che la nave resterà attraccata al DP15 (docking point) di High Europe One per rifornimento e controlli tecnici. «La sosta non supererà le tre ore, salvo imprevisti. I passeggeri che intendono scendere sulla stazione sono pregati di ripresentarsi a bordo entro 150 minuti da questo momento.» Ha concluso la comandante, affacciatasi di persona nella cabina passeggeri, mentre un timer inizia a decontare ore, minuti e secondi sul display 3d di fronte al sedile. Lo stesso conteggio si riproduce sul display olografico del comunicatore personale UCD di Vittorio.

Il bisogno di sgranchirsi le gambe dopo cinque ore di montagne russe spaziali combatte con la spossatezza dovuta alla stessa faticosa avventura. In previsione del successivo volo ad L5, Vittorio si costringe ad alzare le terga dal sedile e barcollare verso il portello di uscita.

Il Moon Express è saldamente ancorato all’interno del Docking Point 15, un ampio hangar aperto sullo spazio. Un condotto pressurizzato collega il portello del veicolo con l’interno della grande stazione orbitale. High Europe One è una struttura toroidale del diametro di quasi tre chilometri, il che consente, con una rotazione completa al minuto, una gravità artificiale più o meno pari alla metà di quella terrestre nell’anello più esterno. Due anelli intermedi a gravità decrescente ed un consistente mozzo centrale a gravità zero ospitano diversi ambienti ad indirizzo industriale, ricreativo, sportivo ed ospedaliero. Finita di costruire nel 2040, nessuno ha mai saputo esattamente quanto fosse costata, sicuramente una cifra nell’ordine di alcuni trilioni di MetaCoin. La creazione della moneta metanazionale ha costituito la gigantesca leva finanziaria che ha determinato l’esplosione della vera space economy, ossia l’economia basata sulle attività civili nello spazio. Risultato della fusione tra bitcoin e fondi di investimento tematici, l’MC ha sviluppato in pratica un enorme patrimonio di fondi destinati esclusivamente alla costruzione di veicoli ed infrastrutture spaziali. Quando il mondo ha finalmente compreso che le valute – non più ancorate all’oro fin dal secolo precedente – si dovevano ancorare alle risorse materiali ed umane, è stato come se si fosse aperta una finestra sull’universo. Nel giro di dieci anni la massa meta-monetaria ha superato il totale delle finanze legate ai diversi paesi sul fondo del pozzo gravitazionale terrestre. Ciò ha portato alla rapida validazione delle tecnologie che già esistevano, ma non avevano avuto fino ad allora la necessaria priorità, dando inizio all’utilizzo intensivo delle materie prime lunari ed asteroidee. High Europe One è stata costruita nel fuoco di questa epopea, e gran parte dei materiali erano stati ancora portati dalla terra, sia pure ai costi ribassati permessi dai vettori riutilizzabili. Per questo il costo della costruzione era stato ancora molto elevato, ma è stato comunque ormai completamente ammortizzato, portando agli investitori profitti notevoli. Le nuove infrastrutture orbitali in corso di costruzione costeranno almeno un ordine di grandezza in meno, ed, a detta di tutti i commentatori, genereranno cifre d’affari enormi. Tanto che una nuova definizione circola ormai da qualche anno, quando si parla di evoluzione finanziaria: il termine ecotrofia, molto più appropriato per significare la gestione di risorse abbondanti, rispetto all’ormai obsoleta gestione di risorse scarse.

In qualche modo Vittorio ha potuto raggiungere la grande hall connessa al DP15, ed approfittare della vip lounge. La gravità al 50% di quella terrestre da un lato aiuta, quando sei stanco e provato, ma aggiunge un inquietante quid di indeterminazione alle tue intenzioni per quanto riguarda la direzione e la forza con la quale appoggi i piedi sul pavimento per spingerti oltre. La forza applicata risulta immancabilmente eccessiva – più o meno il doppio di quella necessaria e sufficiente – quindi occorre continuamente recuperare l’equilibrio e rallentare l’andatura.

Gratificato da un massaggio di mezz’ora, effettuato da una massaggiatrice graziosa e gentile (ma non fino al punto che un uomo vorrebbe…), Vittorio si è concesso una doccia rigeneratrice, ed ora riposa tra le amorevoli “braccia” di una comodissima poltrona total body, sfogliando una rivista di gossip, su carta elettronica. Si tratta di un supporto in tutto simile alla carta, come peso e consistenza, che si può ripiegare e persino accartocciare, ma costituisce l’evoluzione dei vecchi ipad rigidi. Sono in molti i nostalgici della carta, che preferiscono questo tipo di supporto al display olografico, e Vittorio fa parte di questi. Mentre sta per cedere ad una piacevole sonnolenza, avverte una presenza a fianco della sua poltrona, e suo malgrado si ritrova a prestare orecchio ad un alterco che sta compromettendo la quiete della sala vip.

«Ma non vede che il dottor Fargenti sta riposando??» Lo steward, impeccabile nella sua divisa blue, sta cercando di conferire alla propria voce un tono il più possibile autorevole mantenendo un volume appena superiore al sussurro, per non infastidire i numerosi vip mollemente adagiati nelle poltrone tutto intorno. Naturalmente si tratta di un intento del tutto vano. L’atmosfera ovattata della lounge è stata ormai irrimediabilmente guastata dall’alterco, e diverse facce stizzite sono rivolte verso la sorgente di tanto disturbo: una ragazza che non sembra avere alcuna intenzione di abbandonare il campo. Lo stewart del resto ha già ricontrollato tre volte, e non è riuscito a trovare alcuna irregolarità nella tessera vip della ragazza in questione, e quindi non può semplicemente cacciarla fuori. Oltretutto, il nome dell’intrusa, Albany Fargenti, suggerisce un grado di parentela piuttosto stretto con il cliente disturbato.

«Ma questo è mio padre!» Dichiara infatti la ragazza, senza preoccuparsi più di tanto di abbassare la voce.

Ormai irrimediabilmente disturbato e sveglio, Vittorio si raddrizza sulla poltrona, che subito asseconda il movimento, adeguando l’inclinazione dello schienale. «Sì, sì,» bofonchia rivolto allo steward «la signorina è mia figlia.»

«Albany, che ci fai qui?» profferisce rivolto alla propria progenie, con un’espressione divisa tra il piacere di vederla dopo più di un anno ed il fastidio per il riposo interrotto.

Ma è ancora lo steward ad inserirsi, con fare indispettito, moderato dalla riluttanza professionale a trattare in modo così spiccio gli ospiti della vip lounge: «Signori, se dovete parlare vi prego di accomodarvi in un salottino.» Ha sussurrato forte, guardandosi intorno per verificare quanti possono essere disturbati ed infastiditi dall’alterco.

«Papà, ti devo parlare subito.» Risponde Albany, ignorando il disgraziato steward, che però, deciso ormai ad abbandonare ogni residua reverenza, la incenerisce con lo sguardo, la prende sia pure gentilmente per un gomito, e le indica perentoriamente la porta di un salottino poco distante.

Nel frattempo il genitore così interpellato si è rimesso in piedi, ha alzato significativamente gli occhi al cielo, e si è già incamminato nella direzione indicata dallo steward. Solo allora si rende conto che la figlia non è sola: accanto a lei un ragazzo, che potrebbe avere tutt’al più venticinque anni, ha osservato con espressione indecifrabile tutto il bisticcio, e sta seguendo la ragazza verso il salottino.

Una volta che i tre si trovano all’interno, lo steward chiude la porta alle loro spalle, e fa per allontanarsi. Poi sembra ripensarci e decide di restare nelle vicinanze della porta chiusa. La sua espressione, coscienziosamente torva, comunica senza possibili fraintendimenti che intende assolutamente evitare agli altri ospiti della vip lounge di essere ulteriormente disturbati da quei clienti molesti.

Una volta accomodati sulle poltroncine intorno al tavolino centrale, Vittorio ripropone un’espressione interrogativa alla figlia, che appare piuttosto incerta sul come e cosa dire al padre.

«Fammi indovinare,» esordisce quest’ultimo in un tentativo di dissipare l’esitazione della figlia «sei nei guai…»

«Difficile negarlo.» Risponde la ragazza.

Lui annuisce, a conferma che questo è il genere di commento che si aspettava di ricevere. «E?» Offre, accompagnandosi con un gesto di apertura della destra, a sollecitare qualche maggior delucidazione.

«Difficile anche spiegare. Lasciami capire da dove cominciare.»

«Beh, non mi serve una presentazione strutturata e coerente. Non ho molto tempo da dedicarti, il mio volo per L5 parte tra poco più di un’ora. Quindi comincia da cosa ti serve, poi mi dirai perché, se ce ne sarà il tempo.»

L’approccio pragmatico del program manager sembra tranquillizzare in parte la figlia.

«Ecco…» Albany si risolve infine a rinunciare a raccontare una storia coerente dal principio. «Sono rimasta più o meno a piedi. La mia nave, ricorderai che sono imbarcata sulla Havelock, sta facendo rotta per non so dove, sono arrivata qui con una scialuppa di salvataggio, e sembra che io sia destinata a restare qui a tempo indeterminato… Non so come uscire da questa situazione.»
Mentre un Vittorio piuttosto confuso apre la bocca per tentare di richiedere qualche altra informazione essenziale, il misterioso accompagnatore della figlia, rimasto finora silenzioso, sceglie esattamente quel momento per parlare: «La Havelock si sta dirigendo verso questa stazione, dove si prevede che potrà attraccare tra un paio d’ore al massimo.»

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