1) Quanto è alto il tuo sogno?
Mare Ingenii – Albany – D01-30/10/2042
Il drone appoggia delicatamente i quattro piedi palmati sul letto di regolite. Spenti i fari, che erano stati direzionati verso il basso, per evitare di incocciare qualche spuntone di roccia nascosto nell’ombra totale dei grandi massi circostanti, spenti i propulsori che ne hanno sostenuto la discesa fino al suolo lunare, Albany si accinge a depressurizzare l’abitacolo, senza riuscire a scacciare una sensazione di malessere, che aleggia a margine dei suoi pensieri da quando aveva iniziato la discesa verso la sua destinazione: il Mare Ingenii, sulla faccia nascosta della Luna. Non era convinta che accettare questo incarico supplementare fosse stata una buona idea, per quanto si ripetesse che il rischio era veramente minimo.
Pochi giorni prima si era confidata con Cesio, il suo migliore amico: «Se posso sognare, posso fare. Il punto è: quanto coraggio devo ancora avere?»
Cesio ci aveva pensato solo un momento. Di origine ceca, fra gli amici comuni è rinomato per la sua arguzia, e per le risposte mai scontate: «Dipende… quanto è alto il tuo sogno? E tu, quanto in alto puoi saltare? La differenza è la misura del coraggio che devi avere.»
Poi aveva aggiunto, cercando di ricostituire un minimo di quella scorza di cinismo di cui amava talvolta ammantarsi: «Non so di cosa stai parlando, ma spero di non averti detto stronzate.»
“A conferma di quanto le parole siano importanti nella vita delle persone.” Albany riflette che, probabilmente, la sua decisione di accettare l’incarico aggiuntivo si deve anche a quella conversazione. Un apporto non previsto di qualche migliaio di euro potrà sicuramente contribuire a diminuire la differenza tra l’altezza del suo sogno e la propria capacità di saltare.
Così confortata nelle sue decisioni, tira su il cappuccio della tuta, abbassa la visiera trasparente, precedentemente ripiegata nel cappuccio, e la assicura al colletto della tuta, mediante la chiusura super-velcro. Immediatamente i nano-polimeri della visiera la rigidizzano e, da opaca e molliccia che era, diventa perfettamente trasparente e dura come il vetro. Sulla superficie interna il sistema intelligente della tuta comincia a proiettare i dati di temperatura, pressione, umidità, interni ed esterni. Sul menù a destra della visiera, le icone per interrogare i dati di monitoraggio delle funzioni di supporto vitale.
«Depressurizzazione, apertura, routine ordinaria.»
Il comando vocale dato all’interno della tuta si propaga attraverso la connessione wifi del drone, il cui sistema IA lo esegue secondo le istruzioni di settaggio memorizzate. Routine ordinaria, cioè non di emergenza. Pur essendo questo il default, Albany sente l’esigenza di impartire istruzioni ridondanti, per maggior sicurezza. Non si può mai essere certi di quale istruzione un sistema “troppo intelligente” possa aver deciso di ricordare come default, nella sua ossessione di aiutare noi poveri umani deficienti.
Tutte le IA sono programmate per relazionarsi con umani abitudinari e pigri. Quindi si devono sempre riproporre loro le routine già sperimentate, o i prodotti graditi, secondo le teorie, più spesso orientate al marketing che ad una effettiva sicurezza, che stanno alla base delle programmazioni. Se questo può aiutare effettivamente una buona parte degli umani, va invece a discapito, ed è fonte di continuo fastidio e frustrazione, per gli umani detentori di conoscenze professionali, o di quelli che non sono per niente pigri, e che sono coscienti di quanto sia pericoloso affidarsi supinamente all’abitudine ed a routine completamente automatizzate, per quanto collaudate.
Un piede a terra (o si dovrebbe dire “a luna”?), poi l’altro. Saltello. Chiusura del drone. Una nuvoletta di regolite si alza fino all’altezza del bordo inferiore del portello, e si protende pericolosamente verso l’apertura, rischiando di imbrattare l’interno della cabina. Quello sì che sarebbe un guaio serio.
Ma il portello trasparente si chiude velocemente, derogando in ciò dalla routine ordinaria, che prevede una chiusura più compassata e cool. L’IA, questa volta, ha reagito con un pizzico di premura, in base all’allarme dato dai sensori, grazie ad un algoritmo di livello 1 di gestione delle emergenze, impostato per bypassare qualsiasi programmazione puntuale impartita da umani, da algoritmi gerarchicamente superiori o da altre macchine. Un caso in cui la programmazione affidabilistica della IA si è dimostrata utile ed efficace!
Albany resta ferma una decina di secondi, per smaltire il sudore freddo ed esaurire la sequenza di imprecazioni mentali conseguenti al non essere stata sufficientemente attenta a come posava i piedi. Non è la prima volta che scende sulla Luna, ricorda a sé stessa, per infondersi sicurezza. In effetti, è la prima volta che ci scende da sola, ma a questo preferisce non pensare troppo.
Si avvia, infine, cercando di moderare i saltelli che l’abitudine del suo sistema psicofisico alla gravità terrestre le fa fare nella gravità lunare, pari ad un sesto. In verità sarebbe un po’ difficile dire a quale gravità Albany sia al momento abituata. Da qualche anno ormai svolge attività di tecnologo alle dipendenze della Rota.Mat.Interplanetary, un’azienda che recupera relitti e rottami in orbita terrestre, e nell’area dei propri traffici include lo spazio cislunare.
Calmandosi l’agitazione, la ragazza comincia a subire il fascino dell’ambiente in cui si trova a muoversi. Il nero assoluto del cielo, punteggiato da infinite stelle, il contrasto surreale tra gli oggetti illuminati dal sole e le zone in ombra. La mente vaga subito verso orizzonti metafisici, ed Albany pensa cosa dipingerebbe Caravaggio se potesse vedere quel contrasto luce/ombra, quel paesaggio così privo di colori, composto esclusivamente di bianchi abbaglianti, neri assoluti e diverse gradazioni di grigio. Decide di prendere alcune immagini del panorama bellissimo ed inquietante in cui si trova immersa: più tardi forse potrà utilizzarle per qualche suo lavoro di arte grafica, la sua passione di cui avrebbe voluto, ed ancora vorrebbe, fare il proprio mestiere principale. Ma la vita ha, almeno per ora, deciso altrimenti, per quanto le sue opere siano abbastanza apprezzate in rete.
La sua destinazione, l’ingresso del tubo di lava, non è facile da localizzare. Il punto di allunaggio è stato scelto deliberatamente ad una distanza di qualche centinaio di metri dall’imbocco del tunnel, per rendere la vita un po’ più difficile ad eventuali curiosi.
“Ed anche a me…” non può evitare di riflettere con una certa amarezza. Consulta le coordinate sulla strumentazione incastonata nella manica sinistra della tuta. La tuta, di ultima generazione, non ha niente a che vedere con gli ingombranti scafandri indossati dagli astronauti del secolo precedente. Assomiglia piuttosto ad una muta subacquea, molto leggera e comoda. I calzari, integrati, sono dotati di una suola molto resistente, praticamente impossibile da bucare o lacerare, ma che al tempo stesso permette al piede una notevole sensibilità del terreno.
Lo strumento dice che mancano solo trenta metri alla destinazione… ed infatti eccola là, una bocca nera che si apre nel grigio, sporgendo di poco sopra l’orizzonte. Albany non può evitare di procedere a balzi un po’ più lunghi, ora che la meta è in vista, e non deve più stare attenta all’orientamento. Tuttavia l’ingresso della caverna è accidentato, e la cautela non è mai troppa, dato il rischio di inciampare in piccoli rialzamenti e sconnessioni del terreno. Appena varcata la soglia del tubo di lava, le viene spontaneo fermarsi, e attendere che il visore della tuta e gli occhi si adeguino all’oscurità dell’interno.
Albany ha solo 28 anni, è ancora in grado di spaventarsi, come una ragazzina, ed al tempo stesso possiede la spavalderia propria della sua età. Di tutto questo lei è cosciente, e lavora sul suo stato d’animo con diligenza professionale, imponendosi di non cedere al coraggio eccessivo, gestendo il timore come un utile sensore dei pericoli che possono celarsi ad ogni svolta del tubo di lava. Accende la torcia, e prova ad avanzare. Le sembra di procedere da parecchio tempo, alle sue spalle non vede più il chiarore del lungo giorno lunare della faccia nascosta, la fase che sulla Terra corrisponde alla Luna Nuova. Secondo la mappa olografica, che proietta di tanto in tanto davanti a sé, dovrebbero ormai mancare pochi metri. Il fascio luminoso della torcia rivela improvvisamente il luccichio di una struttura artificiale. Il cuore le da’ un balzo nel petto, “Ci siamo!”
«Pulcino chiama Mamma Aquila…»
Il segnale di risposta giunge dopo pochi secondi, proveniente dall’Havelock, lo spacetruck in orbita lunare: «Qui è Mamma Aquila, ti ascolto Pulcino».
Albany ha sempre trovato un po’ ridicoli i nomi in codice adottati durante le missioni. In particolare trova particolarmente perverso, da parte del suo capo Thanat Baogundsai, CEO della Rota.Mat.Interplanetary, un geniale imprenditore malese sulla quarantina, averle appioppato il nome in codice Pulcino! Lei si sente tutt’altro che un pulcino, e l’ha già dimostrato più di una volta.
La qualifica d’imprenditore, del resto, forse non è sufficiente, per definire il suo capo. Infatti, alcune delle sue attività, se svolte sul suolo terrestre, si potrebbero definire contrabbando. Ma non è il solo caso di termini mancanti, nella nuova realtà. Una volta estese le attività civili nello spazio e, se è per questo, anche quelle militari (sic!), ragionare in termini di nazioni e confini nazionali è diventato sempre più difficile.
I territori lunari non erano rivendicabili da alcuna nazione o altra entità terrestre, all’inizio dell’espansione, secondo l’Outer Space Treaty, l’unica base di diritto allora in vigore. Ormai infranto e contraddetto migliaia di volte l’OST originale, l’OST 2.0 è un trattato in costante evoluzione, secondo la giurisprudenza costruita dalle sentenze pronunciate da diverse corti terrestri.
E quindi, come si può parlare di contrabbando? I rottami spaziali, in base a centinaia di sentenze, sono ormai equiparabili ai relitti trovati in mare: vale a dire che chi li trova ne acquisisce automaticamente la proprietà.
Porzioni di suolo lunare sono state occupate a più riprese da stati e da privati, che ne hanno rivendicato la proprietà, dopo averli debitamente recintati, o almeno averne definito con esattezza i confini. Le Nazioni Unite terrestri non fecero altro che conferire all’UNOOSA (United Nations Office for Outer Space Affairs) l’autorità di tenere il registro delle proprietà sul suolo della Luna, e delle successive compravendite, con buona pace del vecchio trattato, che proibiva la proprietà privata sulla Luna e sugli altri corpi celesti. Diverso il caso degli asteroidi, che finora sono considerati, a torto o a ragione, poco più di ammassi di materie prime, a disposizione di chi disponga di sufficiente forza economica per raggiungerli e sfruttarne le ricchissime risorse.
Il mestiere che Thanat Bao, o TB, come lo chiamano amici, soci e dipendenti, svolge con la sua azienda è il recupero, la rottamazione ed il riutilizzo di detriti spaziali. A latere di quest’attività, più o meno legale, e discretamente redditizia, diverse altre cosette, della cui legalità si potrebbe discutere, pur non configurandosi mai come crimini contro la persona. In altri tempi TB si sarebbe potuto definire un ladro gentiluomo, dotato di un’etica che gli impedisce di arrecare il sia pur minimo male ad alcuno… a parte ovviamente alleggerirlo di un po’ di ricchezza!
Tuttavia, nel nuovo contesto della frontiera spaziale, il furto non è particolarmente di moda. Diciamo che parecchie altre attività più redditizie, anche se forse non meno pericolose, hanno tolto fascino ed interesse a questa attività vecchia come il mondo. Che bisogno c’è di sottrarre ricchezza ad altri, quando ce n’è così tanta ed abbondante in natura? Molto più interessante ingegnarsi per raccoglierla, prima che una nuova leva di burocrati riesca a mettere paletti e divieti ovunque…
«Mamma Aquila, sono davanti alla Chioccia, ti avverto appena sono dentro. Vedo cos’ha per noi e torno.»
«Ricevuto, Pulcino, procedi pure». Albany recupera il codice chiave, si connette al wifi della Chioccia, trasmette il codice di apertura, e subito si apre una sezione della parete leggermente ricurva dell’installazione. Contemporaneamente l’illuminazione della sezione più periferica della struttura si accende, proiettando un chiarore opaco anche fuori, attraverso le pareti vagamente traslucide. La Chioccia si rivela essere un’installazione di forma ovoidale, larga almeno una ventina di metri, alta tre e profonda forse altri venti, per quello che si può vedere da fuori. Installazioni di questo genere sono fornite, chiavi in mano, da una società cinese che costruisce prefabbricati tecnologici sulla Luna, utilizzando regolite ed altre materie prime lunari, opportunamente processate per ricavarne polveri adatte al 3d printing.
Non appena Albany è all’interno, l’apertura si richiude, ed inizia la procedura di pulizia dalla polvere lunare. Potenti getti di un liquido detergente a forte pressione investono la tuta, ancora ermeticamente chiusa, ed il liquido sporco risultante viene aspirato via mediante bocche apertesi nel pavimento. Terminata la pulizia, il sistema automatico provvede all’asciugatura, altrettanto meticolosa. Tutta la procedura di ingresso non richiede più di una decina di minuti, che comunque ad Albany sembrano un tempo eterno.
E si trova a riflettere sul destino che l’ha portata a lavorare per la Rota.Mat.Interplanetary. Diversamente dai ragazzi delle ultime generazioni precedenti, che avevano moltissime difficoltà a trovare lavoro nel contesto delle crisi continue dell’economia pre-era spaziale, Albany aveva avuto solo l’imbarazzo della scelta, tra le migliaia di offerte di lavoro qualificato che si potevano trovare online. Di carattere avventuroso e dotata di una curiosità pressochè insaziabile, si era trovata presto ad optare per un lavoro che la portasse ben oltre i confini del suo pianeta natale, anche se il suo curriculum universitario insisteva più sul versante umanistico che su quello tecnico-scientifico. Superando numerosi colloqui e test di selezione aziendale si rese conto che una solida impostazione linguistica, comprensiva di semantica, filologia ed epistemologia, era d’aiuto almeno quanto la matematica, per affrontare problemi tecnologici, la maggior parte dei quali richiede sopratutto un’ottima impostazione logica.
Dopo essersi diplomata al liceo artistico di Torino, scuola che le aveva dato una preziosa manualità, associata a capacità di visione spaziale olografica, decise però di frequentare un corso di laurea in eso-tecnologie. Bruciato il programma in soli due anni, aveva potuto così aggiungere al proprio curriculum una qualifica che le conferiva un background davvero poliedrico: quel mix olistico di scienze umane e tecnologiche richiesto da molte attività nello spazio esterno, dove l’utilizzo intensivo di intelligenze artificiali richiede capacità relazionali di alto livello. L’idea di imbarcarsi su un vascello spaziale l’aveva attirata come se si trattasse di una vacanza continua… Accettare la proposta della RMI era stata quindi una logica conseguenza. Ovviamente non aveva idea di ciò in cui si stava cacciando.
Finalmente viene avviata la pressurizzazione della camera stagna, al termine della quale si apre il portello interno, e si può entrare nel laboratorio, o meglio nel vestibolo, dove ci si toglie la tuta spaziale, e si indossa un indumento completamente chiuso, leggerissimo e traspirante, che però non lascia passare particelle granulometricamente superiori al micron. Fortemente illuminate da una miriade di lampade, crescono rigogliose centinaia di piantine di eccellente cannabis, in quello che TB spera essere il primo ed ancora unico esperimento di coltivazione di canapa sul suolo lunare, utilizzando la regolite, debitamente annaffiata ed arricchita di concime e nutrienti, come terreno di coltura. L’installazione del laboratorio è costata diversi milioni di MC. L’MC (MetaCoin) è una moneta elettronica convertibile, a tassi fissati dalla convenzione di Stoccolma del 2035, nelle principali monete terrestri, sia cartacee che elettroniche.
La missione di Albany consiste nel controllare l’andamento dell’esperimento, prelevare i dati immagazzinati dal sistema di monitoraggio, relativi alla crescita ed allo stato di salute delle piantine, e poi tornare al veicolo che l’attende in orbita. Un’occhiata all’orologio, in alto a sinistra nella visiera, le dice che finora non è ancora in ritardo. Quindi avvia lo scarico dati dal sistema di controllo del laboratorio al sistema della tuta. Piuttosto che trasmettere i dati direttamente alla nave madre in orbita, è più prudente portare i dati a bordo. Un rapido controllo visivo dei dati in real time le permette di accertarsi che tutto proceda nella norma e che, anzi, i dati di crescita sono entusiasmanti.
L’illuminazione continua e le condizioni di temperatura ed umidità sono mantenute ai valori richiesti mediante un sistema combinato di fibre ottiche e di pannelli solari fotovoltaici detti chameleonic, per la loro capacità di confondersi perfettamente nell’ambiente, nella fattispecie le rocce lunari sulle quali sono drappeggiati. Il sistema immagazzina energia e trasmette direttamente la luce solare attraverso le fibre ottiche durante il giorno. Durante la lunga notte lunare l’energia accumulata viene utilizzata per alimentare le lampade e riscaldare la serra. In caso non fosse sufficiente, un piccolo alimentatore nucleare subentra a fornire l’energia necessaria per il tempo di oscurità rimanente.
«Qui è il Pulcino. Fatto. Rientro.»
«Ok Pulcino, qui Mamma Aquila. Buon rientro.»
L’ambiente del laboratorio torna silenzioso, le piantine illuminate diffondono un confortante colore verde nell’ambiente. Per almeno un minuto Albany rimane a godere di quell’atmosfera, e si rende conto che, a bordo della Havelock, il camion spaziale di Thanat Bao, il verde è quasi totalmente assente, e la vita vegetale in genere è proprio una mancanza tremenda, di cui ci si rende conto solo col passare del tempo.
A malincuore ripercorre il corridoio verso il vestibolo, dove si libera del camicie gettandolo nel riciclatore e reindossa la tuta, rialza il cappuccio e torna a sigillare la visiera al colletto. Il portello interno della camera stagna registra la presenza di Albany nell’area antistante, e si apre. Lei procede all’interno, ed il portello si richiude. Quando la tuta comunica al sistema locale che la pressurizzazione interna è a valori normali e tutti i parametri vitali sono in sicurezza, la Chioccia avvia la depressurizzazione, ed infine apre il portello esterno. La via del ritorno attraverso il tunnel di lava sembra più breve, rispetto all’andata.
Fuori di nuovo, nella luce feroce del sole. La visiera automaticamente si oscura, per compensare l’aumento repentino di luminosità esterna. Si sente il sistema di controllo della tuta lavorare intensamente, per gestire lo sbalzo di temperatura di circa 300 gradi, dall’ombra del tunnel alla piena esposizione alla luce solare. Non c’è un vero rumore, piuttosto una sensazione di energie che scorrono e si organizzano intorno al corpo, fluidi che si ridistribuiscono, quasi come se la tuta fosse un essere vivente. Albany crede di avvertire l’inizio di aumenti di temperatura qua e là, subito compensati dal sistema di regolazione della tuta, con conseguenti sensazioni di piacevole fresco. Un’esperienza elettrizzante, che non manca mai di provocarle una piacevole sensazione, paragonabile ad un delicato massaggio o una carezza. Divisa tra il godimento di questa sensazione e l’attenzione agli strumenti che la guidano verso il drone parcheggiato, per un po’ non fa caso ad un’iconcina che blinka ai margini del suo schermo visiera. Stufa di vedere l’allarme bellamente disatteso, l’IA della tuta decide di associare un allarme sonoro, un bip leggermente fastidioso, tale che non possa più essere ignorato.
«Cazzo! E adesso cosa succede?» Albany ha parlato a mezza voce. Si ferma, e si guarda intorno. Quel particolare tipo di allarme (l’iconcina rappresenta vagamente una figura umana) non compare frequentemente, così deve interrogare l’help del sistema, per interpretarlo. Significa che è stata rilevata la presenza di una persona, nel raggio di cento metri. Significa quindi anche che il sistema della tuta era impostato per rilevare eventuali presenze non più lontano di cento metri. Albany riflette sull’evidente imprudenza di quel settaggio. Il sistema della tuta può rilevare presenze estranee fino a due chilometri di distanza: muoversi sulla superficie lunare con una scansione di soli cento metri è come volare ciechi in un cielo di aquile dalla vista acutissima.
Un lieve sudore imperla la fronte della ragazza, una reazione immediata al timore che la pervade, quando realizza le tante possibili implicazioni del fatto di non essere sola nel mezzo del Mare Ingenii. Gli algoritmi della tuta reagiscono al rilevamento della sudorazione, compensando con una leggera emissione di aria fresca nel casco.
Albany intanto si guarda in giro, e si chiede con apprensione se conviene andare a vedere di che si tratta, oppure sgattaiolare velocemente verso il drone, sperando che l’inquietante presenza non si accorga di lei. La decisione momentaneamente migliore, secondo le nozioni debitamente apprese di situational awareness, è fermarsi, e monitorare il segnale estraneo, per vedere se si sta muovendo oppure è statico. Istintivamente si abbassa fino ad accucciarsi vicino ad un masso, e lì rimane ferma per 30 secondi. La distanza indicata dallo strumento non è cambiata neanche di un centimetro. Il vicino inatteso è perfettamente immobile.
È possibile che lo sconosciuto stia cercando, a sua volta, di passare inosservato? E allora perché permette alla sua tuta di emettere il segnale di localizzazione e soccorso? C’è la possibilità che il disgraziato sia svenuto, o peggio. In quel caso l’IA della tuta può decidere di inviare il segnale di SOS. In quel caso l’opzione squagliarsela per Albany proprio non esiste. Dovrebbe vedersela poi con la propria coscienza, oltreché con il recentemente ampliato Outer Space Treaty, che sancisce l’obbligo di soccorso per chi riceve un SOS. Ponendo fine ad ulteriori esitazioni, si rialza in piedi e si incammina di buon balzo, seguendo le indicazioni del navigatore, verso la posizione occupata dal misterioso vagabondo lunare, sempre immobile, a 50 metri circa. Un bagliore sulla visiera dello sconosciuto lo rivela presto, seduto a terra, appoggiato ad un masso.
È seduto dritto. La posizione della testa, soltanto leggermente chinata in avanti, rivela che l’uomo, o donna che sia, sembra in pieno possesso delle normali capacità di manovra del proprio corpo. La figura non appare infatti accasciata, e sembra muoversi leggermente di tanto in tanto, come per cercare una maggior comodità, pur conservando la posizione seduta.
Albany invia una richiesta di connessione wifi diretta, inquadrando con precisione la testa dello sconosciuto nel mirino della propria visiera. La testa rimane però pervicacemente rivolta nella stessa direzione, senza minimamente dare segno di aver notato l’incedere piuttosto spedito di Albany. Giunta ad un paio di metri dal misterioso individuo, ritiene prudente fermarsi, per valutare meglio qualsiasi reazione da parte dell’altro. La richiesta di connessione continua però a risuonare discretamente negli auricolari della ragazza, e certamente deve risuonare con altrettanta insistenza anche negli auricolari dello sconosciuto, sempre immobile.
Fatti altri due passi, Albany si posiziona davanti alla faccia dell’altro, che però non può vedere, data la polarizzazione di protezione dai raggi solari. Si china, comunque, come a cercare lo sguardo dell’enigmatico viaggiatore, ed infine si produce in una serie di gesti piuttosto goffi, nel vano tentativo di attirarne l’attenzione. Constatata l’inefficacia anche di quest’ultimo approccio, si decide ad appoggiare una mano sulla spalla destra del soggetto seduto, nei confronti del quale comincia a nutrire una certa irritazione.
Non appena la mano guantata entra in contatto con la spalla dell’altro, questi si anima improvvisamente, e con un gesto repentino del braccio scaccia infastidito la mano di Albany, come si farebbe se qualcuno ci avesse toccato una spalla mentre stiamo leggendo, placidamente seduti su una panchina in un parco. Contemporaneamente le due tute entrano in comunicazione wifi.
«Uoiuuon?» prorompe una voce maschile, «uaiuboderin?»
Albany non crede alle proprie orecchie. «Ma che lingua parla questo?» subvocalizza sul canale interno.
L’IA della tuta provvede subito l’informazione: «Inglese, con forte accento scozzese del Nord-Est. Traduzione: Cosa vuoi? Perché mi disturbi?»
«L’avevo capito, non sei neanche in grado di cogliere quando una fa una domanda retorica?», ribatte spazientita Albany. E, rivolgendosi allo sconosciuto: «Lei è cosciente di avere il segnale SOS attivo?? Ho interrotto la mia missione per aiutarla, ma me ne vado subito!»
Albany è davvero arrabbiata, e si impegna a darlo a vedere con una serie di gesti netti e decisi, compreso girarsi su se stessa e riavviarsi a grandi balzi, cosa che non manca di alzare parecchie nuvolette di polvere, che poi devono riadagiarsi lentamente.
«Aspetta…» la richiesta giunge inattesa, sul canale wifi ancora aperto. «Ho bisogno di aiuto, sì. Sono stato abbandonato qui dai miei colleghi. Dovevano tornare a prendermi dopo aver risolto un problema tecnico della navetta, ma sono passate 10 ore, e temo che non torneranno.»
«Ok, dov’è il tuo quartier generale, o quello che è?» Albany si è fermata, ancora sconcertata per il mutismo iniziale e per la prima reazione, estremamente scostante, da parte dello sconosciuto. Sul drone può trasportare un secondo passeggero, e sarebbe disposta a passare sopra queste stranezze, pur di attenersi alla legge del soccorso spaziale.
«Ah, capisco, vuoi rubare le mie scoperte e il mio lavoro! Vattene immediatamente, o ti trascino in tribunale!»
Se prima era sconcertata, adesso Albany è decisamente allibita, e del tutto bloccata, per quanto riguarda il da farsi: abbandonare una persona in difficoltà nello spazio o su un qualsiasi corpo celeste è contrario alla legge nonché alla sua etica personale. C’è inoltre una forte possibilità che il soggetto sia completamente pazzo. In ogni caso si configura l’omissione di soccorso, e non crede minimamente possibile che il tizio possa farle causa per averlo aiutato, caso mai si darebbe la possibilità nell’eventualità contraria. È talmente assorta in queste considerazioni, che non si accorge della grande ombra che cala su di lei e sul tizio sedicente abbandonato, tuttora seduto ed appoggiato al suo masso.
Una voce risuona stentorea negli auricolari: «US Space Force. Rimanete immobili dove siete.»
Capitolo precedente | Capitolo successivo
Qui trovi tutti i capitoli del romanzo
Ti sembra interessante, oltreché, spero, abbastanza avvincente?… parliamone
Scrivo anche saggi, sul tema dell’espansione della civiltà nello spazio. Magari vuoi dare un’occhiata?