33) La mia spada è al vostro servizio, Signora

In un bar pressoché deserto – Albany e Bonheur – D05-03/11/2042

Con stupore, Albany e Bonheur si guardano in giro. Il locale di ristoro più famoso del sistema solare è vuoto, se si fa eccezione per due avventori, seduti a un tavolino, immersi in una fitta conversazione. Persino il bancone, regno incontrastato della bella barista Cairo, risulta non presidiato.

I due si rassegnano a ordinare un te’ aromatico al barista automatico, compito di solito svolto dalla barista, solo perché le piace stare al bancone e chiacchierare con quanti vi sostano, per una gradita pausa dal lavoro, o per mangiare un boccone in compagnia.

Bonheur si siede a un tavolino. Albany si siede di fronte, e stringe le mani intorno alla tazza del te’, in attesa che l’infusione raggiunga il punto giusto. Intanto alza gli occhi sul suo ospite, in una muta comunicazione di curiosità… “di cosa mi vuoi parlare, distinto signore?”

Per nulla imbarazzato, Bonheur si riscuote dai suoi pensieri, nei quali si era momentaneamente immerso, e le rivolge un sorriso sornione, tra barba e baffi. «Mi chiedevo, non tanto cosa ti ha portato qui – so che sei venuta con tuo papà – ma cosa ha portato una bella e giovane ragazza come te, a vivere nello spazio…»

«Oh…» Spiazzata dalla domanda così personale Albany, che si apprestava ad accostare la tazza alle labbra, ci rinuncia per il momento, e si concentra per mettere insieme una risposta, senza partire da Adamo ed Eva: «È una storia lunga. All’inizio pensavo solo a mettere da parte soldi sufficienti per sviluppare il mio sogno. Poi mi sono resa conto che mi piaceva. Adesso non credo che tornerei a vivere sul fondo di un pozzo gravitazionale. Almeno non sulla Terra…»

«Mmh… già già, vedo.» Bonheur spinge in fuori il labbro inferiore, pensando per qualche secondo a come proseguire. «Nel senso che capisco.» Si premura di precisare, avendo usato l’espressione “vedo” all’inglese, nel senso di “capisco”.

«Comunque adesso non sei serena. Ti vedo molto pensierosa e preoccupata. Tuo papà e il tuo ragazzo hanno molto da fare, quindi ho pensato che ti servisse qualcuno con cui confidarti. Mi rendo conto che sarebbe meglio qualcuno della tua età, ma forse so ascoltare meglio, ed anche astenermi dal dare consigli non necessari e soprattutto non richiesti.»

Albany non può trattersi dal serrare un po’ le spalle, incrociando le braccia, e ostentando un’espressione che significa “non sono una ragazzina come sembro, e lei forse non è quel fine osservatore di caratteri che crede di essere”. Ovviamente si guarda bene dal tradurre l’espressione in parole, lasciando all’interlocutore, se vuol capire, di capire.

«Inutile nasconderlo, sono molto preoccupata ed incerta. E, sì, si tratta proprio di una preoccupazione esistenziale.»

Vedendo che la conversazione si sta avviando sul terreno che sperava, l’anziano signore si china leggermente in avanti, incrociando le mani sul tavolo, e atteggia il viso ad una espressione bonariamente attenta. «Se mi vuoi mettere a parte delle tue preoccupazioni, abbiamo tutto il tempo.»

Albany sposta il bicchiere di lato e posa i gomiti sul tavolo. Intreccia le mani, ottenendo così una base d’appoggio su cui deporre il viso: operazione tesa a dimostrare al suo ospite che sta prendendo molto sul serio la sua domanda, e che ha intenzione di approfittare della di lui molto maggiore esperienza e capacità empatica.

«Ecco, la mia perplessità comprende questioni di tipo molto generale. Ad esempio: adesso che ci sono in giro superintelligenze, sia umane che artificiali, a che cosa posso servire io, neurotipica e normodotata (o almeno spero)?»

Bonheur si raddrizza leggermente sulla sedia. Da come socchiude gli occhi e tira il fiato si capisce che si sta preparando ad un piccola conferenza, ma Albany non gli da’ tempo di cominciare. «In particolare, io con il mio piccolo progetto artistico… come posso realizzare il mio sogno, di portare felicità alla gente, se ci sono tante intelligenze molto più dotate…»

Il vecchio signore si riadagia leggermente sul tavolino, sembra scendere da un’immaginaria cattedra, e rassegnarsi a conversare senza per forza riordinare i concetti. La ragazza non si aspetta una lezione, e lui non intende infliggerla.

«Mmh… so che stai… uhm… interagendo con un superintelligente umano. Ne sei sconcertata? Ti senti inferiore?»

«No, al contrario.» Risponde subito lei «Anzi, sono sorpresa di quanto Angel sia, come dire, indifeso, rispetto a una normale relazione con l’atro sesso. È come se fosse costantemente stupito… di più, come se cadesse proprio dalle nuvole, non avendo mai immaginato prima come avrebbe potuto essere.»

«Oh… e la cosa ti sconvolge? Non mi sembra che siano dimostrazioni di superiorità. Anzi, il tuo ragazzo si sta mostrando sinceramente per quello che è: un bellissimo, ingenuo, essere umano maturo, anche se forse non sapeva ancora di esserlo…»

«No, non mi sconvolge per niente! Infatti non è di questo che volevo parlare. Le mie domande sono altre.»

Bonheur è un uomo paziente ed umile, anche e soprattutto con sé stesso. Quando prende una cantonata non sta lì a piangerci sopra. Decide semplicemente di prendere nota e andare avanti. Tutti sbagliano. Non per questo ci dobbiamo punire, o peggio, punire gli altri, per i nostri errori. La sua espressione traduce fedelmente questi pensieri, così Albany può riprendere tranquilla il suo discorso. Tranquilla, si fa per dire.

«È complicato, sono diverse riflessioni che si intersecano ed in parte si contraddicono l’una con l’altra.»

«Non ti preoccupare. Le riflessioni lo fanno, di solito.» Le fa eco lui, con una veloce e intensa strizzatina degli occhi. Albany rimane un attimo sorpresa, dalla mimetica empatica del suo ospite… non tutti sono capaci di fare l’occhiolino con entrambi gli occhi.

«Ok, prima riflessione. Fare bene al prossimo, portare davvero felicità è complicato e difficile. Fare il male invece è molto facile, chiunque può farlo, quale che sia la sua preparazione e il suol QI.» Albany tace qualche secondo. È il suo turno di cercare di ricapitolare i propri pensieri. Bonheur lo sa, e sa quanto sia fastidioso quando cerchi di fare un elenco preventivo di concetti, riservandoti di tornarci sopra poi uno per uno, tanto perché l’interlocutore sappia cosa si deve aspettare, e questo ti interrompe con domande premature, che potrebbe evitare semplicemente ascoltando. E quindi sta zitto a sua volta, senza incalzare, ma senza distogliere l’attenzione.

«Stavo pensando proprio a questo, quando lei ha bussato alla mia porta, prima.» Deglutisce, e procede. «Mi aspetto (e faccio il tifo per questo), che le superintelligenze siano all’altezza di questa sfida, di portare felicità alla gente. D’altro canto,» e qui lo sguardo si perde per un attimo nella vastità della sala, «non posso non essere cosciente dei miei liniti di neurotipica. E allora mi chiedo: ha senso che io mi ponga questo obiettivo, di portare felicità alla gente con la mia arte? Non dovrei forse soltanto mettermi a disposizione delle intelligenze superiori, per aiutarle come posso a svolgere al meglio il loro conpito?»

A questo punto Bonheur apre la bocca per dire qualcosa. Ma lei non ha ancora finito: raddrizza la schiena e si appoggia allo schienale della sedia, appoggiando ambedue le mani a palmo in giù sul tavolino. «Anche se volesse dire spazzare il pavimento e pulire dove loro lavorano!»

«Mmh… non credo che te lo farebbero fare, cara ragazza! Sai benissimo che i robot si occupano di tutto.» Bonheur esibisce un largo sorriso, a sottolineare l’ironicità della cosa. «Tuttavia capisco cosa vuoi dire. Ti stai chiedendo se non sia meglio per te metterti al loro servizio, offrendo semplicemente quello che sai fare meglio, o ciò che a loro serve. Come nel lontano passato i cavalieri offrivano i loro servigi ai nobili che ritenevano degni di tale offerta.»

E qui Bonheur si alza teatralmente in piedi, si toglie un immaginario cappello, si esibisce in un inchino, poi si inginocchia devotamente e china il capo, mantenendo il braccio destro aperto, a sostenere il cappello «La mia spada è al vostro servizio, Signora.»

Albany scoppia in una sonora risata, e con gesto degno di una nobildonna del passato, prende delicatamente e graziosamente la mano protesa, accompagnando il gentiluomo a rialzarsi da quella scomoda posizione. «Ve ne sono immensamente grata, messere! Ma vi prego, riaccomodatevi qui innanzi a me, così potremo continuare la nostra conversazione…»

Bonheur non se lo fa dire due volte, e riprende posto. Nel frattempo la sua mente ha lavorato, e prova a rispondere.

«La prima cosa che devi considerare è che non esiste un solo tipo di intelligenza, e che le persone, quale che sia il loro QI, sono tutte diverse una dall’altra. Ciascuno possiede un proprio mix, irripetibile come le impronte digitali, dei diversi tipi di intelligenza. Nel campo delle arti, secondo te perché alcuni sono più portati per il figurativo, chi per la scrittura, altri per la recitazione, la poesia, chi per la musica, chi per il canto o la danza? Si contano molti tipi di intelligenza, e probabilmente non sono state catalogate nemmeno tutte. Intelligenza linguistica, ovvero pensare con le parole e riflettere su di esse, intelligenza logico-matematica, di chi pensa con i numeri e riflette sulle loro relazioni, l’intelligenza musicale, quella visuo-spaziale. L’intelligenza corporeo-cinestetica, che permette al pilota di sentirsi un tuttuno con la sua nave. L’intelligenza interpersonale, che permette di avere successo nelle relazioni con gli altri; quella intrapersonale, di riflettere sui propri sentimenti, umori e stati mentali. E poi ancora, l’intelligenza emotiva, che permette di comprendere e condividere le nostre emozioni, l’intelligenza naturalistica, ovvero pensare alla natura e al mondo che ci circonda; e quella esistenziale, pensare alle questioni etiche ed esistenziali.»

«Steven Wolfe, filosofo evoluzionista che ha lavorato a cavallo tra il Ventesimo e il Ventunesimo secolo, ha poi catalogato sette diversi tipi umani: l’esploratore o vagabondo, l’insediatore o colonizzatore, l’inventore, il progettista, il costruttore, il protettore, il visionario, e l’evolutore. Quest’ultimo tipo, l’evolutore, sente fortissimo dentro di sé l’impulso evolutivo, codificato nelle molecole fin dai primordi della vita dell’universo, e forse anche da prima…»

Qui il vecchio professore è nel suo elemento. Nella sua mente sta parlando a una platea di studenti attenti ed appassionati, che non distaccano gli occhi dai suoi occhi, dalla sua bocca e dalle sue mani, mentre sottolinea con la mimica ed i movimenti i concetti, le pause ad effetto, la sequenzialità e la consequenzialità tra un pensiero e il successivo. Albany è rapita. Non si rende conto del tempo che passa, e spera che la lezione non sia ancora finita. E infatti non lo è.

«Allora, prima che le intelligenze artificiali arrivino a capire l’importanza dei diversi tipi di intelligenza umana e provino a replicarli, ammesso che lo vogliano davvero fare, ne passerà del tempo. Credo che la vera intelligenza, e non c’è dubbio che quelle artificiali lo siano, capisca l’importanza della grande diversità delle intelligenze naturali, la … biodiversità dei tipi umani. E staranno ben attente a non sopprimerle. La vera intelligenza non vuole sopprimere nessuno, perché capisce l’importanza e la grande utilità di ogni tipo, e di ogni singola intelligenza e vita umana.»

Incoraggiato dal silenzio attento della sua allieva, prosegue.

«Il problema non sono le superintelligenze. Siamo noi normali. Tendiamo a deprimerci, a considerarci inferiori, o peggio superflui. Per fortuna l’inizio dell’espansione della civiltà nello spazio ha un po’ mitigato questa sensazione di superfluità degli umani. Appena usciti dal pozzo ci siamo resi conto che la gente qui fuori non basta mai, e che ci manca da morire la ressa delle città della Terra, almeno prima delle grandi pandemie di vent’anni fa. Ognuno qui è il benvenuto, quali che siano le sue capacità e caratteristiche.»

Pausa. Silenzio. Bonheur sembra inciampare in qualcosa che aveva trascurato, quindi alza un dito, a richiedere ancora la parola, visto che Albany ha cambiato posizione sulla sedia e sta per dire qualcosa.

«Per quanto riguarda l’arte, nessuno sa da dove provengono le intuizioni di una mente creatrice, quelle scintille divine che obbligano uno scrittore a massacranti sedute, nelle quali si sforza di tradurre i pensieri in parole scritte, capaci di sedurre chi legge. Cosa porta un poeta a scrivere e limare per giorni e giorni i suoi versi? Un musicista a ripetere fino alla nausea quella frase cui non riesce ad infondere pienamente l’emozione che sta provando… e poi quando riesce a riprodurla passabilmente la dannata emozione è ormai appassita, e ne rimane solo una vaga copia, che gli suona falsa e quasi offensiva?»

«Chi è affetto dal morbo artistico raramente trova conforto nella propria intelligenza. È più spesso la tenacia, l’ostinazione, la capacità di usare e persino calpestare ignobilmente le proprie emozioni e la propria sensibilità che produce l’opera che poi estasierà i fruitori.»

«Un’intelligenza acuta serve davvero all’artista? O meglio, la qualità dell’arte prodotta è direttamente proporzionale all’intelligenza dell’artista? Non ne sono affatto sicuro. D’altronde è vero che tutte le arti richiedono un periodo più o meno lungo di studio ed acquisizione della tecnica. Certo una maggiore intelligenza permette all’artista di organizzarsi e darsi un metodo, una disciplina, fondamentale nelle fasi di studio. Tuttavia, almeno nel caso dell’arte, l’intelligenza, in particolare quella logica, è sì uno strumento utile, ma forse non quello essenziale, per il conseguimento dell’obiettivo più alto: quello di acquisire un proprio stile, quella cifra che rende unica e inconfondibile l’opera dell’artista.» Bonheur alza leggermente gli occhi, e sembra per un attimo interrogarsi sulla propria ultima affermazione… ha esagerato? Deve mitigarla, almeno in parte?

«Grazie, caro professore.» Albany sceglie questo momento per manifestare il suo sentimento. «Mi è molto difficile scegliere una mia strada. E ancor più mantenermi sul sentiero scelto, una volta tracciato. Scegliere di dare ascolto alla mia vocazione artistica per me vuol dire essere costantemente in discussione con la mia coscienza: sono proprio sicura di avere un contributo speciale e importante da dare al mondo? Non è meglio che continui a fare ciò per cui sono apprezzata, il mio lavoro attuale? Ciò che ho sentito oggi da lei mi rincuora molto. Per lo meno ho capito che non devo preoccuparmi del mio QI…»

«Del resto,» riprende Bonheur «non sembra che ai superintelligenti, sia umani che artificiali, interessi particolarmente l’arte. Si sentono maggiormente attratti dalla scienza, dalla matematica, dalla logica. Se vogliamo, forme d’arte anch’esse. Nel campo della musica le intelligenze artificiali sanno produrre esecuzioni tecnicamente perfette… Infatti ci hanno tra l’altro permesso di apprezzare ancora di più le imperfezioni dei musicisti umani, che, quando sono veramente bravi, sanno trasformare in virtuosismi. Senza contare che, quando un musicista suona un pezzo che lo emoziona particolarmente, non è raro che possa sbagliare, proprio a causa dell’emozione… E allora fa ricorso alla tecnica, quando questo succede, per evitare disarmonie insopportabili: una sospensione, una corona inattesa, l’elisione di una parte della frase… ed ecco la magia fare la sua comparsa, sorprendendo gli spettatori. L’esecuzione tecnicamente perfetta non ci regala questi momenti di gioia…»

«Le sue parole sono come un forte massaggio al mio ego strapazzato!» Albany lo dice così per essere ironica, ma le parole risuonano subito vere, e l’anziano professore sa di aver fatto ancora una volta una cosa buona. Si fa avanti sul tavolino, e stringe ambedue le mani della ragazza. Si guardano negli occhi, con profonda simpatia e affetto reciproci.

In quel momento Angel fa il suo ingresso nella sala, e si ferma interdetto: «Oh, scusate. Ho interrotto qualcosa?»

Bonheur si riscuote. Rilascia la mano destra di Albany, e fa un largo gesto di invito: «Niente affatto, caro ragazzo! Stavo spiegando alla tua compagna, qui, perché tutte le intelligenze hanno grande interesse a coesistere e collaborare.»

«Allora la prego, professore, continui.» Risponde subito Angel, prendendo posto al tavolino. «La cosa mi interessa moltissimo. Ci sono due o tre cosette che certi cervelloni amici miei sembrano non avere ancora capito a fondo. Forse lei potrebbe aiutarmi a fargliele capire meglio.»

«Benissimo!» Risponde Bonheur, lasciando anche l’altra mano della ragazza, che subito si avvicina ad Angel, cingendolo alle spalle, e depositandogli un dolcissimo bacino su una guancia. Lui riesce a girarsi rapidamente quel tanto che basta per riceverlo su un angolo delle labbra.

«Poco fa accennavo alla nobiltà degli esploratori, in particolare quelli di qualche decennio fa. Mentre il nostro pianeta andava a fuoco, loro decisero con grande generosità di prendere la strada verticale. Non rimasero ad azzuffarsi con i fratelli, disputandosi le poche briciole rimaste. Preferirono rischiare la vita andando fuori, a cercare nuove risorse per tutti. Tanto la vita se la sarebbero giocata anche restando all’interno della comunità, a rischio di morire di una morte molto meno nobile e gloriosa.»

Qui il vecchio si erge diritto, il suo sguardo si volge teatralmente verso un immaginario orizzonte. La sua voce si fa ieratica, come se stesse parlando ad un simposio filosofico, dove ogni parola è pesata ed ha la sua importanza vitale.

«Quando le risorse in casa scarseggiano, i vigliacchi si volgono contro i fratelli, per derubarli del poco che è loro rimasto. I nobili d’animo, in particolare gli esploratori, preferiscono invece andare fuori, a sfidare l’ignoto, sperando di tornare portando nuova ricchezza per tutti.»

«Quando la Mayflower lasciò la Terra verso Marte, ormai dodici anni fa – e sembra un secolo – tutti sapevano che i cinquantacinque pionieri erano votati a non fare ritorno. E infatti fu così: dopo l’atterraggio su Marte, fu chiaro che la nave non era in condizioni di fare ritorno sulla Terra, a causa di una serie di problemi a catena, che non era facile prevedere in anticipo. Ma quegli eroi trovarono modo di sopravvivere sulla superficie e sotto la superficie del pianeta rosso, che per una serie di casi altrettanto fortuiti li salvò, fino all’arrivo della spedizione seguente, cinque anni più tardi. E faccio notare che nessuna intelligenza umana o artificiale era stata in grado di prevedere né le minacce né le opportunità di sopravvivenza che si manifestarono.»

«Solo la grande capacità inventiva dei membri umani dell’equipaggio,» si intromette Angel, che evidentemente non è affatto sprovveduto sull’argomento, «permise di cogliere le opportunità e di mantenere la spedizione in vita. E faccio notare che, all’epoca, dell’equipaggio non faceva parte nessun superintelligente. Erano tutti QI elevati, certo, ma tutti neurotipici.»

Bonheur ha gratificato il ragazzo della tipica espressione “chapeau”, che esibisce quando un allievo si rivela eccezionalmente preparato su un argomento. «Ovviamente,» riprende e conclude «Il team della Mayflower si avvalse del supporto delle migliori Intelligenze artificiali dell’epoca, che non erano molto meno evolute di quelle attuali.»

Dei tre, l’unico ad accorgersi di un cambiamento nell’atmosfera circostante è Angel. Ma ciò non è per niente strano: in quanto soggetto appartenente allo spettro autistico, Angel non riesce quasi mai ad isolarsi da ciò che succede nelle immediate vicinanze. Quando questo avviene, è in genere causato da una crisi del suo sistema percettivo, dovuto a un insopportabile sovraccarico di voci, suoni, rumori e stimoli visivi. Ma non è il caso della situazione attuale, di quiete pressoché totale, rotta solamente dalla loro conversazione, e dal brusio della converszione a bassa voce in cui sono stati impegnati per tutto il tempo i due individui appartati ad un tavolino piuttosto defilato, in un angolo della grande sala.

Il brusio è terminato, da qualche minuto, e i due stanno ora prestando orecchio, cercando di non darlo a vedere, alla conversazione che si svolge all’altro tavolo, quello dove sono seduti Albany, Bonheur ed Angel. Angel dunque si rende conto di tale mutamento di attenzione, anche senza girarsi a guardare. Dotato di un formidabile sesto senso, decide che la cosa non gli piace, e, mediante una rapida mimica facciale, segnala ai suoi interlocutori che forse è meglio non dilungarsi più di tanto nella conversazione. Nel frattempo la sua mente analitica ha già riesaminato gli ultimi trenta secondi di conversazione, ed ha dedotto che ciò che ha attratto l’attenzione dei due curiosi è stato l’accenno al grado di evoluzione delle intelligenze artificiali attuali. Evidentemente i due ficcanaso sperano in qualche maggior particolare in proposito.

«È tempo di muoversi,» propone Bonheur adocchiando l’ora sul display 3d del proprio UDC, «fra poco dovrebbe iniziare la sessione aperta del meeting di test readiness della stazione. Non vorrei proprio perdermelo.»

Angel, che è appena riuscito a ritagliarsi un’oretta di libertà grazie alla propria abilità nella programmazione, non ha nessun desiderio di assistere alla sessione aperta del meeting, di cui conosce già i contenuti. Con grande soddisfazione è riuscito a produrre una routine automatizzata, in grado di tenere sotto controllo tutte le IA di livello 4, anche se per un limitato periodo di tempo. Se riuscisse a portarne l’autonomia ad almeno sei ore, potrebbe persino permettersi di dormire. Nelle ultime 36 ore si era limitato a brevi pisolini di mezzora, appena sufficienti a restituirgli un po’ di lucidità di pensiero, ma non certo la chiarezza mentale che segue una buona notte di riposo.

La routine non potrebbe in nessun caso sostituire il livello 5 per un lungo periodo. Angel è riuscito a metterla insieme pescando pezzi di software dalle IA di livello 4. Grazie ad un delicato lavoro di copia, incolla, assembla e rimodella ha creato un rozzo programma che ha poche caratteristiche della IA, in quanto si limita a reagire ad eventuali anomalie provenienti dai vari impianti, e ad eseguire periodicamente attività predefinite, come l’archiviazione di sommatorie degli eventi e dei dati analogici salienti rilevati. Poco più di quello che fanno i sistemi SCADA da più di settanta anni. Niente predittività dei guasti, niente analisi comparata dei dati rilevati, una molto limitata correlazione di diverse situazioni normali ma prossime all’anomalia. Ma intanto, grazie anche alla notevole esperienza e capacità di Sammy che, a fronte dei suoi requisiti, ha saputo indicargli dove andare a ritagliare, nello sterminato bagaglio software dei sottosistemi della stazione, si è potuto far fronte all’emergenza più pressante: il funzionamento totalmente integrato della stazione. E, cosa altrettanto importante dal punto di vista conttrattuale e da quello mediatico, permette di procedere con le operazioni di collaudo integrato della stazione.

Alzatisi all’unisono, i tre si avviano verso l’uscita. Proprio mentre tre uomini della security di bordo fanno il loro ingresso, armati di taser e di tuta potenziata.

Albany nota, con la coda dell’occhio, che i tre poliziotti hanno bloccato i due misteriosi individui, che si erano a loro volta alzati dal tavolino per uscire, e li stanno rapidamente ammanettando.

Capitolo precedenteCapitolo successivo

Qui trovi tutti i capitoli del romanzo 

Ti sembra interessante, oltreché, spero, abbastanza avvincente?… parliamone

Scrivo anche saggi, sul tema dell’espansione della civiltà nello spazio. Magari vuoi dare un’occhiata?

Verified by MonsterInsights