3) Search and Rescue
Albany – D01-30/10/2042
Se prima aveva avvertito una crescente precarizzazione del suo stato, ora Albany si trova a resistere con impegno alla tentazione di abbandonarsi al panico. Essere beccati dai marines sul suolo lunare non è quello che uno si augurerebbe la mattina, mentre si lava i denti dopo colazione. Se per caso questi marines hanno un mandato UNOOSA di sorveglianza delle attività anche potenzialmente illegali, Albany potrebbe trovarsi a subire un interrogatorio. Sebbene l’uso di droghe della verità sia espressamente proibito, al di fuori della giurisdizione di un qualsiasi stato sul suolo terrestre, comunque si tratta di un’esperienza per nulla piacevole. Nulla vieterebbe poi agli space-trooper di trattenerla, e di tradurla a terra, sicuramente negli Stati Uniti, dove sarebbe sottoposta ad indagine e limitata nella sua libertà di movimento, chissà per quanto tempo. Mentre riflette su tutto ciò, e su quale sia la migliore linea di condotta, il grosso lander con le insegne USSF si posa a qualche metro di distanza, i grossi getti sollevano regolite in notevole quantità, investendo i due malcapitati, che da qualche minuto sono passibili di essere considerati, secondo alcune interpretazioni dell’Outer Space Treaty 2.0, illegalmente presenti sul suolo lunare.
Il vecchio testo, firmato nel 1967, ascriveva la responsabilità di qualsiasi attività sulla luna ed altri corpi celesti agli stati firmatari, ed ignorava praticamente qualsiasi sfruttamento privato delle risorse extraterrestri. L’OST 2.0, più che una vera riforma del trattato, rappresenta l’integrazione della giurisprudenza prodotta dopo il 2030, quando diverse imprese private avevano iniziato a sviluppare attività minerarie sulla Luna e su alcuni asteroidi, con o senza il beneplacito dello stato in cui erano state incorporate. I primi anni 30, in seguito alla caduta verticale dei costi di lancio orbitale, ed all’avvento sul mercato di diverse case produttrici di orbiter civili, avevano visto una fioritura di investimenti cui gli analisti stentavano a trovare paragoni nelle epoche precedenti. Gran parte di quelle attività era illegale, secondo l’Outer Space Treaty originale. Peccato che, proprio grazie a tale sviluppo illegale, l’economia globalizzata aveva iniziato a crescere a due cifre, facendo piazza pulita della crisi kondratieffiana che aveva imperversato per più di vent’anni!
Non era comunque mancato un nutrito stuolo di difensori dello status quo, che avevano cercato di opporsi alla rivoluzione, intentando causa alle aziende per violazione dell’OST. Si trattava, perlopiù, di cause generate dalla concorrenza: imperi economici che avevano o ritenevano di avere qualcosa da perdere dall’apertura della frontiera spaziale, e rifiutavano ostinatamente di accettare il cambiamento epocale in corso. Considerando il grande numero di posti di lavoro di altissimo profilo offerti dal comparto dell’astronautica civile in impetuosa crescita, la giurisprudenza non aveva potuto se non adeguare la legge allo sviluppo in atto. Per quanto si levassero altissime le voci di chi gridava allo scandalo, paragonando la Luna e gli Asteroidi al Far West di qualche secolo prima, l’unica regola che i giudici potevano stabilire era ancora quella classica, propria di quella antica frontiera: chi primo arriva, e recinta un territorio, ha diritto a sfruttarne le risorse, se non alla proprietà tout-court. Ovviamente le sentenze tendevano comunque a sancire il rispetto di determinate aree, considerate di alto valore scientifico, piuttosto che storico, come ad esempio le aree di allunaggio delle missioni Apollo, comprese le mitiche impronte di Buzz Aldrin e Neil Armstrong.
Nel 1862, quasi un secolo dopo l’apertura della Pista di Cumberland Gap sui monti Appalachi, il Congresso USA approvò l’Homestead Act, che dava diritto ad ogni cittadino, e ad ogni straniero che avesse chiesto la cittadinanza, il diritto di reclamare la terra del governo, per un massimo di 65 ettari. Se avesse costruito una casa sul terreno e l’avesse coltivato per cinque anni, ne avrebbe ottenuto la proprietà, pagando solo dieci dollari per la registrazione (equivalenti a circa 350 dollari del 2042).
Le difficoltà non mancavano, comunque. Nelle Grandi Pianure dell’Ovest non vi erano alberi. Mancando la legna, le case venivano costruite con blocchi di terra estratti dal terreno, ed erano buie, sporche e fangose quando pioveva. Difficile anche costruire recinzioni, e quindi tenere gli animali lontani dai raccolti. La carenza di legname comportava inoltre un’enorme scarsità di carburante per il riscaldamento e per la cucina. Anche l’acqua era difficile da trovare, le stagioni potevano essere prive di pioggia e gli inverni molto freddi. I coloni però non si aspettavano una vita facile e, col passare del tempo, trovarono soluzione a molti problemi dell’agricoltura. Ma il vero salto di qualità della frontiera americana si ebbe solo con la costruzione delle ferrovie in tutto l’Ovest. La ferrovia portò il legno per le case, e il carbone come fonte di energia.
In definitiva, fu la costruzione delle grandi infrastrutture, in primo luogo di trasporto, che segnò l’inizio del progresso sociale e tecnologico degli Stati Uniti.
La frontiera spaziale affronta problemi simili, ovviamente amplificati di diversi ordini di grandezza, e assolutamente non risolvibili senza l’uso delle più moderne tecnologie. Tuttavia la frontiera spaziale, come quella americana di tre secoli prima, ha iniziato a generare profitti enormi proporzionalmente alla costruzione delle infrastrutture: veicoli di trasporto passeggeri e merci, spazioporti, grandi stazioni rotanti. L’inizio della costruzione di grandi piattaforme dotate di gravità artificiale, permettendo a migliaia di persone di trasferirsi al di fuori dei confini terrestri, è stata la pietra miliare, il vero fattore di moltiplicazione dell’economia cislunare.
Tornando alla nostra storia, non è affatto chiaro, dati i presupposti, in nome di quale diritto gli Space Corp US possano fermare e trattenere un qualsiasi individuo che si trovi a vagabondare sul suolo lunare… Tuttavia lo fanno, nel tentativo di controllare il più possibile di ciò che si muove sulla superficie lunare. Beninteso che debbono comunque limitarsi a spiare da lontano i numerosi insediamenti cinesi, per non parlare di quelli russi, indiani, australiani ed europei. Spetterà poi a chi ne ha le possibilità, economiche e politiche, contestare o meno tale azione ed, eventualmente, rivendicare il risarcimento dei danni subiti. Gli Americani tendono a esercitare il controllo in modo ostentato, e fanno lobbysmo presso le UN affinchè sia loro riconosciuto il ruolo di poliziotto spaziale. Ma finora non hanno avuto successo, quindi il più delle volte gli arresti vengono annullati dall’authority meta-nazionale.
Cinesi e Russi tendono invece ad operare in modo più discreto. Va detto che tali paesi possiedono sulla Luna infrastrutture di ricerca che fanno gola a molti ricercatori, quindi non sono infrequenti i casi di affiliazioni del tutto consenzienti.
Albany riflette amaramente che, anche se il suo capo potesse maturare l’intenzione di opporsi legalmente ad un possibile arresto, è difficile che possa poi sostenere economicamente l’azione legale. Senza contare che verrebbe alla luce l’impianto di coltivazione della cannabis…
Il portellone del lander si è nel frattempo aperto verso il basso, consentendo a quattro corpulenti marines, ben protetti nelle loro famose tute potenziate, di scendere, “boots on the ground”, sulla superficie lunare. I visori spaziano ripetutamente sull’orizzonte visibile, come hanno appreso in numerosi corsi di situational awareness, anche se la strumentazione del lander ha già fornito loro ampia rassicurazione circa l’assenza di potenziali malintenzionati nei dintorni. A parte, ovviamente, i due individui sospetti già noti.
La voce di quello che porta i gradi di sergente sulle spalline risuona negli auricolari, in perfetto Inglese standard: «Questa è la missione di ricognizione Search and Rescue 723 della Marina Spaziale degli Stati Uniti. Siete pregati di declinare le vostre generalità e di dichiarare se siete sulla superficie lunare per delinquere. La risposta sarà registrata, e potrà essere utilizzata per ulteriori indagini ed accertamenti, sia giudiziari sia extragiudiziari.»
È la formula standard: se uno dichiara che il suo scopo non è delinquere e poi delinque, potrà sempre, in caso non si riscontrassero capi di imputazione sufficientemente gravi, essere imputato per aver mentito.
Albany risponde subito, in modo altrettanto formale, secondo quanto appreso durante il corso di istruzione legale minima recentemente frequentato, a spese del suo capo (benedetta la sua preveggenza!): «Albany Fargenti, meta-cittadino residente sul laboratorio orbitale Rota.Mat.Interplanetary; residenza terrestre a Zurigo, Confederazione Elvetica. Per quanto riguarda la mia attività sul suolo lunare, in buona fede dichiaro nulla la mia intenzione di delinquere.» Per la verità la Havelock è qualcosa di più di un laboratorio orbitale, ma la giovane ritiene non sia il caso di fornire ulteriori dettagli.
Dopo qualche secondo giunge la risposta: «Ok Albany, registrato.» Di importanza fondamentale l’aggiunta della dizione “in buona fede”. Con tale formula il meta-cittadino si mette al riparo rispetto a possibili aree grigie del diritto spaziale, qualora in base ad ulteriori verifiche o evoluzione della giurisprudenza si riscontrasse qualche possibile capo di imputazione. Va da sé che alla nostra coraggiosa pioniera tremano le gambe, e la tuta è sottoposta ad un certo superlavoro, per compensare il sudore in eccesso. La prospettiva di vedere prematuramente scoperta la coltivazione di cannabis è più inquietante, per Albany, che non ha timore di essere sottoposta a tecniche di interrogatorio meno che lecite. Sa che il CEO ha presentato regolare richiesta di registrazione della coltivazione, avvalendosi della clausola di riservatezza, almeno fintanto che la registrazione non sia conclusa positivamente; se la coltivazione fosse resa pubblica prima della regolarizzazione, ciò potrebbe compromettere il risultato della procedura stessa. Spera fortemente che questo lavorio mentale non traspaia ai grossi difensori degli interessi americani nello spazio.
Il suo non voluto compagno di sventura, nonché causa principale di questa rottura di palle, si è invece apparentemente rinchiuso nella sua impenetrabile sfera di incomunicabilità. Rimane ostinatamente seduto, e non ostenta alcuna reazione visibile al perentorio comando del sergente. Il quale non manca quindi di ripetere la sua intimazione, rivolgendosi direttamente al riottoso, con l’aggiunta di appena un minimo di accentuazione seccata nel tono: «Questa è la missione di ricognizione Search and Rescue 723 della Marina Spaziale degli Stati Uniti. Sei pregato di declinare le tue generalità e di dichiarare se sei sulla superficie lunare per delinquere. La risposta sarà registrata, e potrà essere utilizzata per ulteriori indagini ed accertamenti, sia giudiziari che extragiudiziari.»
Trascorre una decina di secondi, durante i quali lo sconosciuto mantiene ostinatamente la sua posizione. La regolite che gli si è depositata addosso, in quantità ancora maggiore, data la posizione seduta, gli conferisce una raccapricciante aura di antichità, come se fosse un cadavere ormai mummificato, abbandonato lì da chissà quanto tempo. Il sergente fa un gesto, un movimento semicircolare del braccio destro, dal fianco in avanti, verso l’individuo seduto, con due dita della mano protese. Subito i due marine alla sua destra si avvicinano a quest’ultimo e, posizionatisi ai lati, lo sollevano facilmente in piedi. Quindi si avviano verso il veicolo fermo a pochi metri, con il portellone sempre aperto. Albany resta ferma, con fare noncurante, forse sperando che il sergente si dimentichi di lei. Ma, fatti pochi passi, il sergente si gira verso di lei. Pur non potendo vedere la sua espressione, Albany avverte il lieve sbuffo, tra lo spazientito ed il divertito: il sergente la considera ormai sottomessa, quasi arruolata. Si riavvia, la gratifica di un cenno quasi confidenziale della mano destra, indicando il lander, senza neppure controllare se lei effettivamente lo stia seguendo.
Albany lo segue, con lo stesso stato d’animo di un automobilista, fermato dalla polizia stradale, mentre l’agente si accinge a compilare il verbale di contravvenzione. In breve si trovano tutti dentro il lander, si chiude il portellone, ed ha inizio la procedura di decontaminazione, che richiede un tempo considerevole, data la quantità di polvere lunare depositata sulle tute dei due fermati. Per tutto il tempo della decontaminazione, il compagno d’avventura di Albany si è comportato docilmente, anche agevolando l’azione dei bocchettoni robotici che, mediante getti d’aria ed acqua ad alta pressione, si affaccendano a ripulirgli la tuta. Terminata la procedura di decontaminazione e pressurizzazione, il sergente pronuncia il comando di apertura del portello interno. Tuttavia il portello interno non si apre. Per almeno un minuto tutti restano in paziente attesa, con le tute ancora ermeticamente chiuse, i caschi cappuccio ben calati e sigillati sulla testa.
Allo scadere di un minuto, che ad Albany è sembrata un’ora, l’IA del lander, anziché aprire il portello interno, inizia a depressurizzare nuovamente la camera stagna. Fatto ancora più sconcertante, i marine restano completamente immobili, nonostante si avverta nell’ambiente la grande energia e la notevole stizza che stanno profondendo, per cercare di muovere anche solo un braccio, verso i comandi manuali. Terminata la depressurizzazione, il portellone esterno torna ad abbassarsi, ed il compagno di sventura di Albany non tarda ad attivarsi prontamente. Afferrata Albany per una mano, si avvia tranquillo verso l’uscita. Ancora una volta lei si sente estremamente indecisa sul da farsi. Approfittare dell’opportunità, ed allontanarsi? Non peggiorerebbe così la propria posizione? Non si configurerebbe quest’azione come una fuga, e quindi un’ammissione di avere qualcosa da nascondere? Come se le leggesse nel pensiero, lo strano individuo rompe il silenzio, esprimendosi questa volta in perfetto inglese standard, sul canale limitato alle loro due tute: «Non preoccuparti. Nelle memorie di questa unità non resterà nulla di tutto questo. Andiamo, o l’accordo che ho appena negoziato con l’IA del lander potrebbe essere messo in discussione, se risultasse che tu non mi segui di tua spontanea volontà.»
«Ma cosa… cazzo…» Albany si avvia dietro quello che ormai si potrebbe definire il suo complice, nel caso aver lasciato un’unità dello US Space Force contro la volontà dell’ufficiale comandante potesse in seguito essere considerato un reato. Nella giornata non c’è stata una sola decisione che lei abbia potuto prendere dopo attenta riflessione. La sua vita sta decisamente prendendo una piega molto inquietante, in cui si trova continuamente a dover agire prima di poter ragionare e decidere. Ad esempio, come diavolo poteva questo sconclusionato vagabondo pensare di convincere una IA militare a disobbedire ad un ordine di un ufficiale? Eppure il portellone era lì aperto, ed i marine immobilizzati, evidentemente dalle loro tute potenziate ed iperintelligenti, che avevano ricevuto un ordine dall’IA del lander, in palese contraddizione con la volontà dell’ufficiale umano comandante. Trotterella quindi dietro il suo “salvatore”, ed in breve i due si ritrovano fuori del lander, ancora una volta sul suolo lunare.
Il vecchio testo, firmato nel 1967, ascriveva la responsabilità di qualsiasi attività sulla luna ed altri corpi celesti agli stati firmatari, ed ignorava praticamente qualsiasi sfruttamento privato delle risorse extraterrestri. L’OST 2.0, più che una vera riforma del trattato, rappresenta l’integrazione della giurisprudenza prodotta dopo il 2030, quando diverse imprese private avevano iniziato a sviluppare attività minerarie sulla Luna e su alcuni asteroidi, con o senza il beneplacito dello stato in cui erano state incorporate. I primi anni 30, in seguito alla caduta verticale dei costi di lancio orbitale, ed all’avvento sul mercato di diverse case produttrici di orbiter civili, avevano visto una fioritura di investimenti cui gli analisti stentavano a trovare paragoni nelle epoche precedenti. Gran parte di quelle attività era illegale, secondo l’Outer Space Treaty originale. Peccato che, proprio grazie a tale sviluppo illegale, l’economia globalizzata aveva iniziato a crescere a due cifre, facendo piazza pulita della crisi kondratieffiana che aveva imperversato per più di vent’anni!
Non era comunque mancato un nutrito stuolo di difensori dello status quo, che avevano cercato di opporsi alla rivoluzione, intentando causa alle aziende per violazione dell’OST. Si trattava, perlopiù, di cause generate dalla concorrenza: imperi economici che avevano o ritenevano di avere qualcosa da perdere dall’apertura della frontiera spaziale, e rifiutavano ostinatamente di accettare il cambiamento epocale in corso. Considerando il grande numero di posti di lavoro di altissimo profilo offerti dal comparto dell’astronautica civile in impetuosa crescita, la giurisprudenza non aveva potuto se non adeguare la legge allo sviluppo in atto. Per quanto si levassero altissime le voci di chi gridava allo scandalo, paragonando la Luna e gli Asteroidi al Far West di qualche secolo prima, l’unica regola che i giudici potevano stabilire era ancora quella classica, propria di quella antica frontiera: chi primo arriva, e recinta un territorio, ha diritto a sfruttarne le risorse, se non alla proprietà tout-court. Ovviamente le sentenze tendevano comunque a sancire il rispetto di determinate aree, considerate di alto valore scientifico, piuttosto che storico, come ad esempio le aree di allunaggio delle missioni Apollo, comprese le mitiche impronte di Buzz Aldrin e Neil Armstrong.
Nel 1862, quasi un secolo dopo l’apertura della Pista di Cumberland Gap sui monti Appalachi, il Congresso USA approvò l’Homestead Act, che dava diritto ad ogni cittadino, e ad ogni straniero che avesse chiesto la cittadinanza, il diritto di reclamare la terra del governo, per un massimo di 65 ettari. Se avesse costruito una casa sul terreno e l’avesse coltivato per cinque anni, ne avrebbe ottenuto la proprietà, pagando solo dieci dollari per la registrazione (equivalenti a circa 350 dollari del 2042).
Le difficoltà non mancavano, comunque. Nelle Grandi Pianure dell’Ovest non vi erano alberi. Mancando la legna, le case venivano costruite con blocchi di terra estratti dal terreno, ed erano buie, sporche e fangose quando pioveva. Difficile anche costruire recinzioni, e quindi tenere gli animali lontani dai raccolti. La carenza di legname comportava inoltre un’enorme scarsità di carburante per il riscaldamento e per la cucina. Anche l’acqua era difficile da trovare, le stagioni potevano essere prive di pioggia e gli inverni molto freddi. I coloni però non si aspettavano una vita facile e, col passare del tempo, trovarono soluzione a molti problemi dell’agricoltura. Ma il vero salto di qualità della frontiera americana si ebbe solo con la costruzione delle ferrovie in tutto l’Ovest. La ferrovia portò il legno per le case, e il carbone come fonte di energia.
In definitiva, fu la costruzione delle grandi infrastrutture, in primo luogo di trasporto, che segnò l’inizio del progresso sociale e tecnologico degli Stati Uniti.
La frontiera spaziale affronta problemi simili, ovviamente amplificati di diversi ordini di grandezza, e assolutamente non risolvibili senza l’uso delle più moderne tecnologie. Tuttavia la frontiera spaziale, come quella americana di tre secoli prima, ha iniziato a generare profitti enormi proporzionalmente alla costruzione delle infrastrutture: veicoli di trasporto passeggeri e merci, spazioporti, grandi stazioni rotanti. L’inizio della costruzione di grandi piattaforme dotate di gravità artificiale, permettendo a migliaia di persone di trasferirsi al di fuori dei confini terrestri, è stata la pietra miliare, il vero fattore di moltiplicazione dell’economia cislunare.
Tornando alla nostra storia, non è affatto chiaro, dati i presupposti, in nome di quale diritto gli Space Corp US possano fermare e trattenere un qualsiasi individuo che si trovi a vagabondare sul suolo lunare… Tuttavia lo fanno, nel tentativo di controllare il più possibile di ciò che si muove sulla superficie lunare. Beninteso che debbono comunque limitarsi a spiare da lontano i numerosi insediamenti cinesi, per non parlare di quelli russi, indiani, australiani ed europei. Spetterà poi a chi ne ha le possibilità, economiche e politiche, contestare o meno tale azione ed, eventualmente, rivendicare il risarcimento dei danni subiti. Gli Americani tendono a esercitare il controllo in modo ostentato, e fanno lobbysmo presso le UN affinchè sia loro riconosciuto il ruolo di poliziotto spaziale. Ma finora non hanno avuto successo, quindi il più delle volte gli arresti vengono annullati dall’authority meta-nazionale.
Cinesi e Russi tendono invece ad operare in modo più discreto. Va detto che tali paesi possiedono sulla Luna infrastrutture di ricerca che fanno gola a molti ricercatori, quindi non sono infrequenti i casi di affiliazioni del tutto consenzienti.
Albany riflette amaramente che, anche se il suo capo potesse maturare l’intenzione di opporsi legalmente ad un possibile arresto, è difficile che possa poi sostenere economicamente l’azione legale. Senza contare che verrebbe alla luce l’impianto di coltivazione della cannabis…
Il portellone del lander si è nel frattempo aperto verso il basso, consentendo a quattro corpulenti marines, ben protetti nelle loro famose tute potenziate, di scendere, “boots on the ground”, sulla superficie lunare. I visori spaziano ripetutamente sull’orizzonte visibile, come hanno appreso in numerosi corsi di situational awareness, anche se la strumentazione del lander ha già fornito loro ampia rassicurazione circa l’assenza di potenziali malintenzionati nei dintorni. A parte, ovviamente, i due individui sospetti già noti.
La voce di quello che porta i gradi di sergente sulle spalline risuona negli auricolari, in perfetto Inglese standard: «Questa è la missione di ricognizione Search and Rescue 723 della Marina Spaziale degli Stati Uniti. Siete pregati di declinare le vostre generalità e di dichiarare se siete sulla superficie lunare per delinquere. La risposta sarà registrata, e potrà essere utilizzata per ulteriori indagini ed accertamenti, sia giudiziari sia extragiudiziari.»
È la formula standard: se uno dichiara che il suo scopo non è delinquere e poi delinque, potrà sempre, in caso non si riscontrassero capi di imputazione sufficientemente gravi, essere imputato per aver mentito.
Albany risponde subito, in modo altrettanto formale, secondo quanto appreso durante il corso di istruzione legale minima recentemente frequentato, a spese del suo capo (benedetta la sua preveggenza!): «Albany Fargenti, meta-cittadino residente sul laboratorio orbitale Rota.Mat.Interplanetary; residenza terrestre a Zurigo, Confederazione Elvetica. Per quanto riguarda la mia attività sul suolo lunare, in buona fede dichiaro nulla la mia intenzione di delinquere.» Per la verità la Havelock è qualcosa di più di un laboratorio orbitale, ma la giovane ritiene non sia il caso di fornire ulteriori dettagli.
Dopo qualche secondo giunge la risposta: «Ok Albany, registrato.» Di importanza fondamentale l’aggiunta della dizione “in buona fede”. Con tale formula il meta-cittadino si mette al riparo rispetto a possibili aree grigie del diritto spaziale, qualora in base ad ulteriori verifiche o evoluzione della giurisprudenza si riscontrasse qualche possibile capo di imputazione. Va da sé che alla nostra coraggiosa pioniera tremano le gambe, e la tuta è sottoposta ad un certo superlavoro, per compensare il sudore in eccesso. La prospettiva di vedere prematuramente scoperta la coltivazione di cannabis è più inquietante, per Albany, che non ha timore di essere sottoposta a tecniche di interrogatorio meno che lecite. Sa che il CEO ha presentato regolare richiesta di registrazione della coltivazione, avvalendosi della clausola di riservatezza, almeno fintanto che la registrazione non sia conclusa positivamente; se la coltivazione fosse resa pubblica prima della regolarizzazione, ciò potrebbe compromettere il risultato della procedura stessa. Spera fortemente che questo lavorio mentale non traspaia ai grossi difensori degli interessi americani nello spazio.
Il suo non voluto compagno di sventura, nonché causa principale di questa rottura di palle, si è invece apparentemente rinchiuso nella sua impenetrabile sfera di incomunicabilità. Rimane ostinatamente seduto, e non ostenta alcuna reazione visibile al perentorio comando del sergente. Il quale non manca quindi di ripetere la sua intimazione, rivolgendosi direttamente al riottoso, con l’aggiunta di appena un minimo di accentuazione seccata nel tono: «Questa è la missione di ricognizione Search and Rescue 723 della Marina Spaziale degli Stati Uniti. Sei pregato di declinare le tue generalità e di dichiarare se sei sulla superficie lunare per delinquere. La risposta sarà registrata, e potrà essere utilizzata per ulteriori indagini ed accertamenti, sia giudiziari che extragiudiziari.»
Trascorre una decina di secondi, durante i quali lo sconosciuto mantiene ostinatamente la sua posizione. La regolite che gli si è depositata addosso, in quantità ancora maggiore, data la posizione seduta, gli conferisce una raccapricciante aura di antichità, come se fosse un cadavere ormai mummificato, abbandonato lì da chissà quanto tempo. Il sergente fa un gesto, un movimento semicircolare del braccio destro, dal fianco in avanti, verso l’individuo seduto, con due dita della mano protese. Subito i due marine alla sua destra si avvicinano a quest’ultimo e, posizionatisi ai lati, lo sollevano facilmente in piedi. Quindi si avviano verso il veicolo fermo a pochi metri, con il portellone sempre aperto. Albany resta ferma, con fare noncurante, forse sperando che il sergente si dimentichi di lei. Ma, fatti pochi passi, il sergente si gira verso di lei. Pur non potendo vedere la sua espressione, Albany avverte il lieve sbuffo, tra lo spazientito ed il divertito: il sergente la considera ormai sottomessa, quasi arruolata. Si riavvia, la gratifica di un cenno quasi confidenziale della mano destra, indicando il lander, senza neppure controllare se lei effettivamente lo stia seguendo.
Albany lo segue, con lo stesso stato d’animo di un automobilista, fermato dalla polizia stradale, mentre l’agente si accinge a compilare il verbale di contravvenzione. In breve si trovano tutti dentro il lander, si chiude il portellone, ed ha inizio la procedura di decontaminazione, che richiede un tempo considerevole, data la quantità di polvere lunare depositata sulle tute dei due fermati. Per tutto il tempo della decontaminazione, il compagno d’avventura di Albany si è comportato docilmente, anche agevolando l’azione dei bocchettoni robotici che, mediante getti d’aria ed acqua ad alta pressione, si affaccendano a ripulirgli la tuta. Terminata la procedura di decontaminazione e pressurizzazione, il sergente pronuncia il comando di apertura del portello interno. Tuttavia il portello interno non si apre. Per almeno un minuto tutti restano in paziente attesa, con le tute ancora ermeticamente chiuse, i caschi cappuccio ben calati e sigillati sulla testa.
Allo scadere di un minuto, che ad Albany è sembrata un’ora, l’IA del lander, anziché aprire il portello interno, inizia a depressurizzare nuovamente la camera stagna. Fatto ancora più sconcertante, i marine restano completamente immobili, nonostante si avverta nell’ambiente la grande energia e la notevole stizza che stanno profondendo, per cercare di muovere anche solo un braccio, verso i comandi manuali. Terminata la depressurizzazione, il portellone esterno torna ad abbassarsi, ed il compagno di sventura di Albany non tarda ad attivarsi prontamente. Afferrata Albany per una mano, si avvia tranquillo verso l’uscita. Ancora una volta lei si sente estremamente indecisa sul da farsi. Approfittare dell’opportunità, ed allontanarsi? Non peggiorerebbe così la propria posizione? Non si configurerebbe quest’azione come una fuga, e quindi un’ammissione di avere qualcosa da nascondere? Come se le leggesse nel pensiero, lo strano individuo rompe il silenzio, esprimendosi questa volta in perfetto inglese standard, sul canale limitato alle loro due tute: «Non preoccuparti. Nelle memorie di questa unità non resterà nulla di tutto questo. Andiamo, o l’accordo che ho appena negoziato con l’IA del lander potrebbe essere messo in discussione, se risultasse che tu non mi segui di tua spontanea volontà.»
«Ma cosa… cazzo…» Albany si avvia dietro quello che ormai si potrebbe definire il suo complice, nel caso aver lasciato un’unità dello US Space Force contro la volontà dell’ufficiale comandante potesse in seguito essere considerato un reato. Nella giornata non c’è stata una sola decisione che lei abbia potuto prendere dopo attenta riflessione. La sua vita sta decisamente prendendo una piega molto inquietante, in cui si trova continuamente a dover agire prima di poter ragionare e decidere. Ad esempio, come diavolo poteva questo sconclusionato vagabondo pensare di convincere una IA militare a disobbedire ad un ordine di un ufficiale? Eppure il portellone era lì aperto, ed i marine immobilizzati, evidentemente dalle loro tute potenziate ed iperintelligenti, che avevano ricevuto un ordine dall’IA del lander, in palese contraddizione con la volontà dell’ufficiale umano comandante. Trotterella quindi dietro il suo “salvatore”, ed in breve i due si ritrovano fuori del lander, ancora una volta sul suolo lunare.
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